sabato 5 aprile 2008

Jan Saudek e Joel Peter Witkin, fino al 27 aprile al Pac di Milano


Questa è una mostra che Nostra Signora Letizia Moratti ha trovato troppo scioccante per i deboli cuori e le deboli menti dei suoi sottoposti, ossia i cittadini milanesi, e non ha voluto che varcasse la soglia di una sede istituzionale come il Palazzo Reale. Solo la testardaggine del Vittorio Sgarbi nazionale, che per fortuna quando si tratta di arte non è completamente rintronato, ha permesso che la mostra avesse luogo in una sede più defilata e dedita alle sperimentazioni contemporanee per vocazione, come il Pac. La mia speranza è che la mostra registri un afflusso impressionante di visitatori, perlomeno per far apparire un lieve rossore e un voltar del capo pieno di vergogna alla sciura Moratti Vien Dal Mare (o giù dai monti).

Certo, i due artisti sono crudi e noi apposta andiamo per vedere. Non c’è niente di zuccheroso nella morte, nella deformità, nel cinismo e nella sessualità esplicita: ragione in più per esserci e per vedere finalmente fin dove l'arte può spingersi e cosa lo spirito umano può sopportare, lontano dai circuiti del buonismo di facciata, della bellezza levigata e del marketing politicamente corretto. Questo è un altro territorio e noi vogliamo il diritto di poterlo esplorare.

Ho scoperto Saudek tanti anni fa, a Praga. Ho ammirato da subito la sua cifra distintiva, i tenui colori pastello che dipingono il grigio dello scantinato che è il suo set d'elezione, un muro grigio scrostato sulla quale inscenare una realtà denudata, goffa, viziosa, vanitosa, esaltata. Dalla finestra della sua cantina si può vedere qualsiasi cosa: un cimitero, la luna, un altro muro cupo, a seconda del proprio umore. Saudek mette in scena la realtà con l'inganno e la finzione. Le sue immagini stampate e colorate a mano recano titoli scritti a penna e retrodatati di un secolo. “Il maestro di danza” è Saudek stesso che impartisce lezioni alla sua allieva completamente nudo. “La bella ragazza che amavo” ha parte del corpo deforme, ma si compiace del suo bel viso allo specchio. “La signora nel palco”è una contorsionista nuda con le pubenda in primo piano, ma che osserva compita attraverso le lenti di un binocolo da teatro. Saudek sfida il tempo, con le datazioni fasulle ma anche con la serie “Dieci anni nella vita di Veronika”. E' dotato di ironia cinica: “La storia del bere nella Repubblica Ceca” è data da una serie di fotogrammi che vedono una nana e una donna calva agghindate e serie all'inizio e via via sempre più discinte e ubriache, fino a crollare al suolo nude alla fine.


Witkin è una novità per me, ma è chiaro da subito che è un'artista della stessa pasta di Saudek, anche se flirta più con la morte che con il sesso. Ma il senso del grottesco decisamente li accomuna e anche una certa allegra crudeltà visiva. Fotografare i morti facendoli recitare come fossero vivi denota, in fin dei conti, una tranquilla meditazione sulla morte, come se non fosse niente di straordinario, e così infatti è, ma per l'uomo moderno a quanto pare è una vera rivoluzione ragionare di questa verità. I suoi soggetti sono invenzioni dense di dettagli scenografici misteriosi, che richiamano una sorta di alchimia simbolica. Usa spesso un bianco e nero morbido, virato al grigio e anche la tecnica del collage, graffiando e incidendo le lastre. “Catina” è un aggraziato scheletro di sposa, coloratissimo, con tanto di velo e bouquet, ma che tiene imprigionato un piccione nel suo sterno. L'orrore di “Leda”, un corpo deforme circondato da infanti buttati a terra come stracci vecchi, è mitigato dall'apparizione di uno splendido cigno in primo piano e da una luce sovrannaturale che discende dall'alto. Gli still life sono ironici, zeppi di falli e altri dettagli anatomici, come un seno appoggiato su un piatto in mezzo alla frutta. L'America di “The raft of G.W. Bush” (2004) se ne va a spasso disperata sulle onde impervie dopo il naufragio, sulla stessa “Zattera della Medusa” che dipinse Géricault (1819). Come a dire che tutta l'umanità sta sempre su una zattera in mezzo all'Oceano, ondivaga.

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