venerdì 1 febbraio 2008

Il Pacco


Ieri mi citofona, verso sera, un corriere del SDA. Ha un pacco che aspettavo, ma sfortunatamente, mi mancano 7 miserabili euro per pagarlo. Mi affaccio dal balcone e riferisco, il tizio sbuffa e mi ricorda che ho 5 giorni di tempo per andarlo a ritirare, non in posta eh, al magazzino del SDA.

“Dov’è?” chiedo. “A Buccinasco” risponde lui. “Bene, mi lascia un bigliettino nella casella?” Dice di sì e io fiduciosa la mattina dopo esco a cercare il bigliettino, che non c’è. E ora? Che cavolo. Chiamo l’892424. Mi danno l’indirizzo e cercano di farmi parlare con il centralino del SDA. Snervante attesa con musichetta techno, ma niente. La signorina del 892424 prova a collegarmi all’199, numero a pagamento che dovrebbe dare informazioni sullo stato delle spedizioni. Attesa, musichetta, niente di fatto. Saluto la signorina e decido malauguratamente di andare direttamente presso i loro uffici. Giro per mezz’ora buona nel labirinto della zona industriale di Buccinasco prima che un’anima pia mi dia l’informazione giusta. Ecco il cartello, SDA. Mollo la macchina, mi dirigo verso l’ingresso e scarpino fino al loro capannone, in fondo a un immenso cortile pieno di camion, mentre pioviggina acqua di stagno e non ho ovviamente l’ombrello. Arrivo, entro e sono già incazzata nera. Ci sono due tizi che non mi degnano di uno sguardo e non rispondono al mio saluto. Lui, prima di degnarmi di una sola occhiata, preferisce rispondere al telefono che ha appena fatto un mezzo squillo. Lei, girata di schiena, rimane ad armeggiare con la fotocopiatrice, come se nessuno fosse mai entrato e abbia salutato. Aspetto. Odio gli uffici. Odio questa umanità scialba degli uffici, quelli che non gliene frega niente di te, chiunque tu sia, qualunque cosa tu voglia. Perché non si ammazzano a casa loro invece di infestare degli uffici a contatto con il pubblico. Io sto ancora qui a cercare lavoro e queste facce di minchia stanno qui di fronte a me con il loro bel stipendio a grattarsi le terga. Il tizio manda “bacioni” al suo interlocutore e finalmente mi caga. Gli racconto dell’inconveniente della sera prima e del fattorino che non mi ha lasciato nessun biglietto, tanto da costringermi a chiamare l’892424 per sapere dove diavolo era il loro magazzino. Il tizio, serafico: “Mi sembra strano.” Ah, ti sembra strano testa di cazzo? Metti in dubbio quel che ti dico, figlio di puttana? Ribadisco che è andata proprio così e allora ovviamente non sa che dire, dunque interviene la sminchiata alla fotocopiatrice senza nemmeno voltarsi. “Il bigliettino non è dovuto. Lo devono lasciare solo se non trovano nessuno.” Il tizio immediatamente si appiglia a questa immane cazzata, non importa se io insisto nel dire che ho chiesto espressamente al fattorino di lasciarmi un biglietto e lui ha detto di sì, non importa se insinuo che NON POSSO SAPERE DOVE E QUANDO RITIRARE IL MIO PACCO SE IL DECEREBRATO NON MI LASCIA UN BIGLIETTO, niente. Il muro di gomma. In ogni caso, dico che vorrei ritirare il mio pacco, e il tizio se la gode un sacco quando mi comunica che senza il codice non posso farlo. Non avendo il biglietto, non ho nemmeno il codice. Dovrei contattare la ditta che me lo ha spedito e farmi dare il codice. Lui non può per caso controllare se c’è un pacco a mio nome? No, dice reprimendo uno sbadiglio, non può, se avesse potuto mi avrebbe già chiesto il mio nome, come posso essere così stupida da voler trovare una soluzione al mio problema, pensare solo lontanamente che se lui volesse alzare il culo una minima in qualche modo potrebbe aiutarmi? Gli chiedo per favore, ho scarpinato fino a lì per il mio pacco…
“Doveva chiedere al portiere di entrare con la macchina.” Quante cose avrei dovuto sapere! Peccato che loro non rispondano al telefono per darti tutte queste informazioni! Avrei dovuto sapere che il mondo è pieno di stronzi prima di avvicinarmi troppo a due di loro tanto da sentirne il tanfo. Non posso che dire, bene, rispedite pure il pacco al mittente perché qui non ci torno di sicuro e andarmene, senza il mio pacco, di nuovo sotto la pioggia nel loro fetido cortile, scarpinare fino alla mia macchina e maledire tutte le immense facce di cazzo che popolano il mondo.

E tutto questo per un pacco.

C’è una sola speranza che la nostra società non imploda su sé stessa? Alla luce della storia del pacco, la mia risposta è che ormai è troppo tardi, non c’è più niente che si possa fare, se non stare alla larga da tutti questi non-luoghi, da tutte queste non-persone, forse siamo al redde rationem. Quante storie come questa ognuno di noi potrebbe raccontare? Viverle mi uccide. Questo è veleno puro e siamo impotenti mentre ce lo fanno ingoiare con l’imbuto. Io lo sputo qui, per ora.

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