domenica 20 gennaio 2008

Le Bestie di Satana III Parte - I prodromi


Era il 2004 quando è saltata fuori alla tv e sui giornali la storia delle Bestie di Satana, a seguito dell’omicidio di Mariangela Pezzotta. Io ovviamente ho seguito fin da subito la vicenda da vicino, perché anche se avevo smesso da un pezzo di frequentare il Midnight avevo conosciuto, direttamente o indirettamente, quasi tutti i protagonisti della vicenda. Oltretutto, una persona a me carissima che chiamerò d’ora in poi “la mia fonte”, è stata coinvolta personalmente nella ricerca di Fabio, oltre che in un rapporto di vicinanza con la famiglia Tollis e ancor di più con le band di cui facevano parte Fabio Tollis, Mario Maccione e Marco Zampollo.

La prima cosa che mi è saltata all’occhio in questa storia è che il nome era sbagliato. Ho la netta sensazione che il nome “Le Bestie di Satana” sia stato coniato dai giornalisti, perché io avevo sentito parlare qualcuno, all’epoca, su un qualche nome troppo fico da dare a un gruppo grind, per la serie “T’immagini che storia se il gruppo si chiamasse così!” e il nome conteneva una bestemmia. Il nome era quello, ma non citava Satana, bestemmiava Dio. Per cui ho pensato, logico che i giornalisti l’abbiano cambiato, mica potevano scrivere i titoli con bestemmia incorporata. Ovviamente, non c’era nel discorso nessun accenno a sette e omicidi, era solo una frase del cazzo detta da un ubriaco per far fare un ghigno a uno che fa troppo il figo appoggiato alla saracinesca della vetrina di fianco al Midnight, quella piena di scritte idiote tipo “Heavy Metal per sempre”, “Metal Fever”, “666” et similia. Il punto è: chi cavolo era che parlava di questo nome mentre io ero presente? Buio totale.

Io ho seguito la vicenda solo quando è cominciato il secondo giro di arresti, ossia quelli che hanno riguardato le persone che conoscevo: Paolo “Ozzy” Leoni, Eros “Hascio” Monterosso, Marco Zampollo e Pietro “Wedra” Guerrieri. Ho qualche flash di ognuno di loro, dei quali non conoscevo fino ad ora nemmeno il cognome, ma si tratta comunque di cose molto banali. In primo luogo mi ha sconvolto vedere la foto di Wedra, vedere come cavolo si è ridotto, trasformato dagli anni e dalla droga in una caricatura di filippino obeso. Io mi ricordo di una sera anni fa quando il mio ragazzo di allora me l’aveva presentato ed era magro, simpatico e anche uno dei primi che vedevo a Milano con un taper gigante nell’orecchio, quelli che allargano i fori dei piercing e proprio per questo dettaglio mi era rimasto impresso.

Hascio sapevo chi era, perché una volta avevamo passato una nottata con un sacco di altra gente a casa di un’amica comune a Monza e lui si era addormentato quasi subito ubriaco e nessuno voleva entrare nella sua stanza per la gran puzza di piedi. Per la cronaca, la mia fonte dice che era da un pezzo che non si faceva più chiamare Hascio. Me lo ricordo anche in Fiera di Senigallia perché stava slinguando con una tipa che io detestavo e mentre lo faceva gli scendevano i pantaloni dietro. Uno spettacolo agghiacciante. Considerato tutto ciò mi vien solo da dire poveraccio, perché in tutta ‘sta faccenda e dopo aver letto tutti i documenti possibili e immaginabili sui fatti, non ho ancora capito lui che cavolo c’entra.

Marco Zampollo me lo ricordo magro e piccolino, con gli occhiali enormi e una chitarra più grande di lui, che veniva a suonare la domenica al Parco Sempione. La mia fonte è particolarmente angustiata dalle accuse che riguardano lui, perché non riesce davvero a credere che sia coinvolto nei fatti. Io sono d’accordo e la mia tesi è che le cose siano molto, molto ambigue riguardo a questi ultimi due imputati e anche riguardo Ozzy.

Ozzy me lo ricordo in particolare perché una compagna di classe della mia fonte gli moriva dietro e la mia fonte mi raccontava con dovizia di particolari situazioni e pettegolezzi che li riguardavano. Ozzy era una presenza fissa al Midnight, ma non era certo un compagnone. L’ho visto per anni, ma non ricordo nessun episodio particolare, a parte quelli legati ai tira-e-molla con la tipa in questione. Tipa che per altro è stata a casa sua più volte e non è mai stata coinvolta in situazioni strane né in discorsi riguardo la setta o cose simili, e la cosa fra loro è andata avanti per anni, fra l’altro proprio nel periodo a cui risalgono i fatti. Lei conferma però che Ozzy aveva le pareti nere e dei teschi finti nella stanza, particolare su cui ovviamente i media si sono buttati a pesce, ça va sans dire. Mi ha molto colpito che venga definito “figura carismatica” di una setta satanica di cui lui tutt’ora nega l’esistenza, considerato che, a parte quella che gli sbavava dietro, non credo che nessuno l’abbia mai considerato tale al Midnight, a quanto mi consta.

Per mia fortuna, né io né la mia fonte abbiamo mai conosciuto neanche di striscio Andrea Volpe e Nicola Sapone; la mia fonte ha però frequentato da vicino Mario Maccione, l’unico minorenne all’epoca dei fatti, colui che si era auto proclamato medium della setta. La mia fonte è sconvolta ripensando a tutte le volte che l’ha riaccompagnato a casa in macchina dopo le prove del gruppo, eppure mai, nemmeno una volta, nemmeno strafatto, ha fatto cenno a Satana, alla setta o strani altri discorsi sui demoni dai quali, a quanto pare dalle sue dichiarazioni a verbale, era assediato fin dalla più tenera età. La mia fonte ancora si stupisce per l’autocontrollo dimostrato costantemente negli anni da questa piccola mente annebbiata dagli stupefacenti.

Le Bestie di Satana II Parte - Satana



Breve excursus esoterico-religioso sulla figura del nostro protagonista e ispiratore di sette.

Satana è, evidentemente, il contraltare del dio cattolico, che essendo per sua natura perfetto e espressione di puro amore, non può, con la sua sola presenza, spiegare il male che esiste sulla terra da lui creata ed ecco che si rende necessaria una figura a lui opposta, una figura che incarni tutto il male possibile e immaginabile. Un male necessario, potremmo dire: non sia mai che qualcuno reputi possibile poter dare la colpa a Dio di certe schifezze. Per quello c’è Lucifero, l’angelo caduto, il perfetto capro espiatorio e/o agente del male con cui prendersela. Già dal mio tono fino a qui, si può capire come la penso sulla questione. Non mi capacito che qualcuno possa fondare una setta satanica, perché è veramente troppo da idioti: non si fa che legittimare tutta la fuffa catto-clericale venerandone il peggio, ossia l’invenzione proiettiva delle proprie pulsioni animalesche e malvagie, che invece di essere affrontate vengono espulse, nella creazione di un essere ultraterreno che non solo le rappresenta ma ha pure il potere di scatenarle. E non solo si crea un obbrobrio psichico che ci lascia immaturi, assorbendo da noi ciò che di noi non vogliamo vedere, ma gli si dona pure il potere di agire al di fuori di noi, il potere di traviarci e guidarci verso un punto di non ritorno. Dire che è da imbecilli è troppo poco.

Però bisogna aggiungere che il nostro, in certi ambienti, si è guadagnato una fama tutt’altro che disprezzabile. E’ diventato una specie di icona per tutti coloro che trasgrediscono, che hanno letto “Il Paradiso Perduto” di Milton, che vivono nel culto della naturalità delle proprie pulsioni in opposizione a una civiltà del peccato e del senso di colpa, coloro che si sentono liberi da dogmi imposti dall’alto e che vogliono esplorare ogni aspetto della propria umanità. Ed ecco che, proprio fra questi, Satana assume quell’aria fascinosa da Grande Ribelle, padre di tutti i successivi, oltre che padre putativo del rock, il primo che ha voluto alzare la testa e essere sé stesso pagandone amaramente il prezzo, ecc ecc. Questa è, ovviamente, semplice speculazione mitologico-letteraria che ha ben poco a che vedere con la creazione di altari in suo onore, patti di sangue e tutto il corollario del culto.

Proprio per questo non mi capacito. Se penso al Midnight, ogni tizio con cui ho parlato della questione religiosa mi ha sempre ripetuto il mantra che allora andava per la maggiore e che era “Se non credo in dio, non posso neanche credere nel diavolo” e che ora così perfettamente ragionevole e accettato e rivoluzionario di per sé stesso che non aveva bisogno di nient’altro e che legittimava come provocazione pura tutte le varie magliette coi simboli e le scritte sataniche di cui tanto hanno parlato i giornalisti e le tv. E invece.

La mia teoria? Ebbene sì, ho sempre una teoria sulle cose di cui parlo (se no starei zitta). La mia teoria è che, a un certo punto, il semplice cazzeggio al Midnight e la musica metal e l’aria cupa non bastavano più a sentirsi speciali, diversi. I gruppi di amici cominciavano ad allontanarsi. Proprio nel periodo in cui avvenivano i fatti, parliamo del 1997-98, io e altri gradualmente smettevamo di andare lì tutti i sabati. Qualcuno si era fatto la macchina ed era più agile spostarsi per concerti o altre serate, senza contare che quello era un periodo fantastico per un’altra fondamentale scoperta, ossia i RAVE (ovviamente quelli illegali) e che poi, in fondo, il Midnight era pittoresco, sì, divertente, pure, ma sempre le stesse facce dopo un po’… E sull’onda di quel momento di transizione, manco ci accorgevamo che le facce non erano già più le stesse, perché se noi fedelissimi cominciavamo ad andarci sempre meno, ecco che le facce sarebbero cambiate per forza. E di lì a poco, se ci fossimo tornati, non avremmo quasi riconosciuto più nessuno, se non qualche residuato, forse dall’aria più patetica che stoica.

La mia teoria e che alcuni abbiano evocato il diavolo e fatto patti di sangue e abbiano perfino ucciso solo perché, alla fine, non sapevano bene più dove andare né cosa fare perché le cose non cambiassero mai.

La Morte, mio nonno e Enzo Biagi


Quando è morto Enzo Biagi ho deciso di fare una cosa che difficilmente avrei fatto per qualcun altro e che di sicuro non avrei mai pensato fino a pochi mesi fa: sono andata alla camera ardente. In genere non so perché faccio le cose che mi sento di fare e solo se ci rifletto in seguito trovo spiegazioni, motivazioni, significati. Così succede anche stavolta. La sua morte mi ha commosso, e questo è un fatto. Le ingiurie e l’epurazione che ha subito negli ultimi anni della sua vita, e da chi vale infinitamente meno di lui, sono un altro fatto. La sua aria bonaria e saggia, l’arguzia e il talento comunicativo, oltre che l’umiltà e l’onesta che hanno caratterizzato la sua persona, sono altri fatti. Ma che da soli non bastano a spiegare perché di mia spontanea volontà mi sia alzata dal letto con buon anticipo (fatto inspiegabile di per sé, per chiunque mi conosce) e mi sia recata sul posto, per star dentro solo 10 minuti a intristirmi come non mai, coi lacrimoni e tutto, in mezzo a carabinieri col pennacchio e telecamere avide di pubblico cordoglio, prima di avviarmi al lavoro.

In mezzo, il Morto. Bianco, composto, in completo scuro, tale e quale a come deve essere un Morto. Il 27 luglio ho visto un altro Morto, mio nonno. Il primo che io abbia mai visto. Negli anni ho perso altri parenti, ma ho sempre e solo visto la bara chiusa e devo ammettere con un po’ di vergogna che dopo l’iniziale sconvolgimento e la tristezza e la pena che caratterizzano questi eventi, sono tornata senza grossi scossoni alla mia solita vita, pensando raramente ai cari estinti, se non in determinate circostanze. Certo, ero più piccola, più immatura, più stupida… Questi sono i fatti. Ma mio nonno l’ho sempre adorato e ha sempre rappresentato per me la vera “famiglia”: era il patriarca, era lucido, divertente, affettuoso, interessato a tutto. Era dignitoso. Uno di quegli anziani gentiluomini napoletani sempre col gilet di lana e la camicia anche in casa, con ancora tutti i capelli e sempre ben pettinato. Con mia nonna formava una coppia formidabile, li andavi a trovare e ti ritrovavi in mezzo a situazioni e dialoghi che sembravano usciti direttamente da un canovaccio di Eduardo. Non posso dire quanto mi manchi. Ma tant’è. E’ rimasto in salute fino agli 84 anni ma poi si è spento in pochi mesi di malattia, a casa sua, dopo un periodo in ospedale in cui andarlo a trovare era una sofferenza. Non potevo credere alle cazzate che doveva sorbirsi da tutti i figli e nipoti che gli dicevano che sarebbe guarito. E che dovevano dire, già, sono queste le cose che si dicono fra persone perbene e adulte. Era cambiato, tanto. Durante la notte del 27 ha avuto una crisi e a un certo punto ha rifiutato l’ossigeno. Lucido fino all’ultimo. Lo stesso giorno, moriva anche Giovanni Pesce, ex gappista.

E io sono andata lì, in quella che prima era la casa di “Natale in Casa Cupiello” e ora invece bisognava andarci per vedere il Morto, che non era stato ancora ricomposto, truccato, imbottito e pronto per essere presentato in Società. Ho sentito spesso gente dire che i morti hanno l’aria serena, ma lasciatemi dire che lui di sereno non aveva un cazzo. Lo guardavo e potevo vedere l’esatto momento in cui la sua vita era volata via, lasciandolo rigido, con gli occhi vitrei socchiusi, la bocca semiaperta. L’aria era stupita, e sfiancata anche. Io lo guardavo e potevo sentire ogni singola fibra del dolore e del terrore che lo avevano attraversato e continuo a vederlo e a pensarlo anche oggi.

Poi, dopo pochi mesi, vado nella camera ardente dove sosta la salma di Enzo Biagi, senza sapere perché. E sul libro delle firme ho scritto qualcosa tipo “Te ne sei andato tu, mio nonno, Giovanni Pesce… Mi sento come se tutti gli anziani dignitosi e umani ci stiano morendo intorno. Buon viaggio”. Non che la cosa abbia un gran senso… Ma mi sembra che al contrario i rincoglioniti e gli infami non schiattino mai. Questo era quello che probabilmente avrei voluto scrivere. Poi me ne sono andata e ho camminato un bel po’, fino a che non ho trovato dei cartelloni appesi al muro con sopra delle poesie, su viale Lamarmora. Ce n’era una di Emily Dickinson e una di Guido Gozzano. Quest’ultima parlava di un’anatra che viveva alla grande nel suo laghetto e che non pensava mai al Natale e nemmeno alla cuoca. E poi finiva con un verso tipo (libera interpretazione mia e della mia pessima memoria): “Non è poi così male essere cucinati, ma è tremendo pensare di esserlo”.

Non che pure questa cosa abbia un gran senso… Ma sarà per la poesia, per Samhain che è appena passato o più probabilmente per Enzo Biagi, ma io mi sono resa conto che mio nonno mi ha liberato dalla paura della Visione della Morte e che per l’ultima, ennesima volta, mi ha lasciato una cosa positiva perché da lui io ho sempre e solo avuto cose buone.

sabato 19 gennaio 2008

Le Bestie di Satana I Parte - Il Midnight



Negli anni ’90 a Milano chi partecipava del fermento di cui ho già parlato sicuramente è stato anche al Midnight. Forse non ci è stato per anni quasi tutti i sabati sera come la sottoscritta, ma di sicuro ci è passato. Bene. Dieci anni dopo, abbiamo scoperto che mentre noi ci sbronzavamo, limonavamo, vomitavamo nei vicoli e in sostanza ci divertivamo come solo i malati di mente che eravamo (e probabilmente siamo tutt’ora) possono fare, bè, qualcun’altro nel frattempo fondava sette sataniche e andava ad ammazzare gli amici nei boschi. Qualcun’altro con cui pure, probabilmente, in qualche modo abbiamo avuto a che fare.

Ma prima di addentrarmi nel pernicioso fatto di cronaca, mi sento in obbligo di parlare del contesto e quindi della location, ossia il Midnight. Cosa che ovviamente nessun cosiddetto giornalista è stato in grado di fare, se non per dire ovvietà e dare squallidi giudizi. Il Midnight ha avuto il pregio di essere stato il primo pub di Milano che metteva musica metal, dove i proprietari erano capelloni e tatuati, l’atmosfera inquietante al punto giusto e dove, soprattutto, tutti gli astanti erano fuori di testa e non inquadrati, gente con cui potevi tranquillamente passare una bella serata in un’atmosfera diversa dal mondo ordinario o da quello falso e sbriluccicante delle, per noi infernali, discoteche alla moda. Prego di tener conto che chi scrive veniva dal sonnacchioso hinterland, per cui il tutto era ai miei occhi ancora più eccitante, considerando anche la vera e propria atmosfera di raduno settimanale che vi si respirava: ci tengo a ribadire che il luogo esprimeva la sua vera natura e forza nell’essere l’unico reale punto di ritrovo serale del weekend per tutti gli spostati di Milano e provincia (come lo era la fiera di Senigallia il sabato pomeriggio e il Parco Sempione la domenica, in quella che possiamo considerare una mappa della Milano underground di quegli anni, che comprendeva inoltre i centri sociali per i più politicizzati e un paio di altri locali notturni, fra cui il Rainbow. Ma soprassediamo, per ora).

Il Midnight non è mai stato un cazzo di ritrovo di satanisti, al contrario, proprio i tizi vestiti di nero e con le magliette dei gruppi metal con scritto 666 number of the beast e altre amenità, erano spesso i più timidi e introversi e/o sfigati e non avevano proprio niente di aggressivo. Questa è la prima regola di fisica dell'abbigliamento che genitori, giornalisti e imbecilli vari dovrebbero tener presente: la tracotanza orrorifica del vestire negli adolescenti e post tali è, il più delle volte, direttamente proporzionale al grado di introversione e timidezza del soggetto. Tale concetto era tanto naturalmente radicato nelle nostre menti che praticavamo una selezione umana uguale e contraria a quella della società mainstream: più un tizio appariva pettinato e infighettato meno c'era da fidarsi, perchè nascondeva di sicuro da qualche parte olezzo di marcio. Non c'era niente di rassicurante, per noi, in un tipo così, al contrario. Nel migliore dei casi era uno sfigato senza palle nè personalità, nel peggiore uno squallido, untuoso individuo che sotto l'apparenza lampadata e alla moda celava sicuramente ipocrisia, miseria morale e/o aggressività latente. A distanza di anni ho superato la mentalità manichea tipica degli adolescenti: ma certe intuizioni di allora continuano a palesarsi persuasive nella mia vita attuale.
Non che tutti gli astanti del Midnight fossero mammolette, sia chiaro.
Intanto c'erano i poser che cercavano d'infiltrarsi. Poser, come già spiegato, erano non solo quelli che non ci credevano fino in fondo e si conciavano come noi altri solo per seguire la moda, senza sapere una beata mazza di controcultura ecc. (leggendaria tale Flavia, che cambiava abbigliamento e filosofia di vita - secondo le nostre teorie - a seconda del ragazzo del momento, in un caleidoscopio di patetici e dispendiosi turn over, nell'ordine da punk a dark a grunge a fighettina alla moda), ma erano anche quei poveracci che si acchittavano per l'occasione, quelli che a scuola in settimana erano normalissimi e poi tiravano fuori dall'armadio stracci di pelle nera et similia apposta per la serata al Midnight il sabato. Dire che li disprezzavamo è superfluo.
Poi c'erano gli stronzi veri, quelli che vengono a galla come schiuma all'interno di qualsiasi consesso umano. C'erano i tizi con cui per qualche motivo avevi avuto da ridire, quelli falsi che avevano macchinato per metterti in cattiva luce con qualcuno, quelli che facevano i superiori, ecc. ecc. Ma in qualche modo era il nostro posto e solo lì potevi fare certi discorsi, passare quelle serate favolose fuori dal mondo vero e sentirti completamente a tuo agio. E proprio lì dove tutto era nero, sporco, rumoroso e oscuro, mai avremo pensato che qualcuno di noi aveva ancora qualcosa da nascondere.

mercoledì 2 gennaio 2008

Milano anni '90 e noi



Correva l’anno 1994 e io, finalmente, mi svegliavo. Sì perché proprio intorno ai 16 anni cominciavo a rendermi conto che la città era viva e succedevano un sacco di cose a cui bisognava obbligatoriamente prender parte. E poi avevo cominciato a leggere Bukowski e ascoltare (adorare) i Nirvana già da qualche tempo e queste sono cose che lasciano dei segni, come dire. Non ero più la stessa persona di poco tempo prima: ero incazzata col mondo. E poi, diciamolo, volevo succhiare ‘sto midollo, quello di cui parla Thoreau quando va per boschi e che Robin Williams ne “L’Attimo fuggente” ci aveva opportunamente ricordato. Bene, le premesse c’erano tutte, per tuffarsi nel delirio e vivere esperienze straordinarie. Difatti, chi come me è stato adolescente a Milano negli anni ’90 dovrebbe ricordarsi su che razza di giostra stavamo per salire (anche se probabilmente chiunque si ricorderà che nella sua adolescenza era tutto mooolto meglio), ma io qui voglio dimostrarlo, che lo fosse:

1) Non c’erano ancora i cellulari. Questo può sembrare un handicap per quanto riguarda i contatti con gli amici: ma per noi era ottimo, poter staccare davvero il cordone ombelicale. I genitori non potevano rintracciarci: raccontavo di dormire da una mia amica ed ero a un rave nei boschi del Pavese senza l’ansia che mammà mi chiamasse. Sparivamo giorni interi. I genitori dovevano fidarsi o rinchiuderci in casa. Non c’era modo di essere controllati: la città era tutta per noi.

2) In quegli anni c’erano ancora reali spazi di aggregazione notturni aggratis, aperti a tutti e che si caratterizzavano come veri e propri eventi autogestiti: mi riferisco alle notti trascorse al Bosco in Città col sacco al pelo, fra bonghi e falò, alle ore trascorse a ciondolare per P.zza Vetra prima che la recintassero, Parco Sempione prima che diventasse un’aiuola per pensionati e famigliole…

3) Le tribù giovanili erano in costante fermento. La parola che per me rappresenta tutta quella generazione è “contaminazione”. Gente che negli anni ’80 si sarebbe presa a sprangate, ora frequentava gli stessi posti, faceva parte degli stessi ambienti. I mescolamenti di genere, di musica, di abbigliamento erano potenzialmente infiniti. Ci si era accorti che, in un mondo mainstream, cercare l’alternativa sociale ed estetica, qualunque essa fosse, ci rendeva parte della stessa tribù: noi contro loro, quelli “normali”. Per cui io, che mi ubriacavo di Bukowski, Nirvana, Burroughs & Beat, Sonic Youth, Soundgarden ecc. ecc., ero pure addentro i misteri del punk, del dark e, ovviamente, del metallo pesante, senza sentirmi a disagio con tizi punk, dark e metalloni duri. L’essenziale è che non fossero vestiti da fighetti e non andassero nelle discoteche commerciali e latino americane, perché se no li schifavo. Li schifavamo tutti. Non che oggi mi piacciano granchè.

4) Il peccato più grande, l’orrore totale, ciò che veramente causava isolamento sociale era l’essere classificato come poser, ossia uno che fingeva. Non potevi farti i rasta se non conoscevi Haile Selassiè. Non potevi cercare i vestiti nel mercatino dell’usato e avere i soldi a casa senza vergognarti della tua colpevole incoerenza. Non potevi fare il punk con la cresta e sbavare per andare in tivù a FARE IL COGLIONE, perché OVVIAMENTE il tuo status di punk derivava dal fatto che tu schifavi tutta quella roba lì. Poche mezze misure. Ricordo che al parco Sempione i giornalisti con telecamera venivano allontanati a insulti. Era il ’97 quando ci fu la pietosa reunion di Johnny Rotten coi Sex Pistols? Bè, tale Skarto vomitò su una giornalista che gli chiedeva che ne pensasse. Mai risposta fu più eloquente. Ora viene da vomitare anche a me quando vedo il ragazzino coi dread e l’altro capellone che fanno la pubblicità dei telefonini. All’epoca sarebbero dovuti scomparire e non farsi più vedere in giro. Fottuti poser. E niente mamme che ti accompagnano a fare il tatuaggio. Ogni centimetro del nostro corpo valeva una rivolta familiare. Non era più un totale tabù ma non era neanche sul culo della velina, il tatuaggio. Era un po’ un segno iniziatico. Andato pure quello, a farsi benedire.

5) La cosa migliore degli anni ’90 è che non c’erano ancora in giro beghine e fascistelli o se ne stavano ben nascosti. I teocon e teodem non li avremmo partoriti neanche negli incubi più atroci. E chi se lo aspettava, che stavano appostati dietro allo scadere del millennio pronti a uscire dalle fogne. Mia sorellina che ha fatto il mio stesso liceo otto anni dopo, mi ha raccontato scenari surreali di ciellini al potere e di fighette odiose che le chiedono come mai a 21 anni non è ancora sistemata. No, mai l’avrei immaginato, dopo anni fantastici di occupazioni, assemblee e vivacissime autogestioni. Ed era una scuola tranquilla, niente teppismo, né bullismo, considerata come un liceo di valore. Ricordo che uno dei motti che giravano era “non si può essere apolitici, semmai apartitici!”, oltre al sempreverde “Vox Populi vox Dei”. Penso a concerti e manifestazioni e nel ricordo ho quasi dimenticato le ore di studio, i compiti e le interrogazioni.

6) Non c’erano ancora stati i fatti di Genova. Eravamo ancora verginelli, naif. Credo siamo stati gli ultimi a pensare che le cose, in fondo, non potessero che migliorare. Era finita la guerra fredda. Siamo rimasti sconvolti dalla Prima guerra del Golfo, dall’ex Jugoslavia e dal Kossovo. Ma la cosiddetta guerra al terrore e di civiltà era al di là di ogni presupposto. Solo un malato di mente poteva vagheggiarla. Come solo un malato di mente poteva permettersi di accennare a certi germi di razzismo e populismo che ora vanno per la maggiore. Dire che ci siamo risvegliati bruscamente è poco.

7) Consideravamo che nel futuro saremmo tutti stati artisti bohémien o che ce la saremmo cavata in qualche modo mantenendo intatto il nostro aplomb senza diventare odiosi squali e/o servi di qualcuno o grigi impiegati senza prospettive e senza soprattutto l’ansia di dover dimostrare uno status superiore o fare il business o cose del genere. Poi il mondo del lavoro è diventato una guerra fra poveri proprio mentre noi ci affacciavamo. Di colpo abbiamo trovato che tutti i diritti di cui avremmo potuto godere erano stati sbriciolati da mosse sotterranee di stronzi incravattati. E mentre andavamo per i trenta abbiamo scoperto quanto fosse vero il vecchio adagio per il quale non bisogna fidarsi di nessuno sopra i trenta. E mentre realizzavamo questo, ci siamo guardati indietro e abbiamo visto che i più piccoli erano peggio: pronti a uccidere per il successo, pronti a sposare tutto il peggio della società che noi invece disprezzavamo, pronti a vendersi al miglior offerente.

8) Last but not least, la scena musicale. E non sto parlando di singoli gruppi, che di quelli bravi ce ne sono sempre, anche ora ovvio (potrei dire White Stripes e Muse, ad esempio), ma proprio della scena. Mi ricordo un continuo provare e suonare. Io no, mai saputo suonare né cantare, ma ovunque c’erano gig e sale prove. Erano anni in cui si comprava “Metal Shock” e i gruppi nuovi spuntavano come funghi, si conoscevano tutti tra loro e inseguivano stili e suoni differenti ma erano tutti CONTRO e questo era fondamentale. Certo, esistevano anche i Take That ma in fondo avevano uno spazio infinitesimale e nessuno avrebbe mai voluto andare a fare il buffone da Maria De Filippi. Veramente sembrava che chiunque potesse uscire dalla cantina e viaggiare verso il successo, a maggior ragione se era brutto, capellone e incazzato. Ci stordivamo coi Stone Temple Pilots, Weezer, Alice in Chains, Mudhoney. I più duri e puri optavano per i sempreverdi Metallica, Iron Maiden, AC/DC. Senza contare la riscoperta costante dei padri di certa musica, dai Doors ai Sex Pistols. Ho imparato un sacco di cose, devo dire che mi sono applicata costantemente.

9) Vogliamo parlare della scena femminile e delle riot grrls? Fantastiche davvero, brutte e incazzate pure loro, altro che corpi levigati e depilati e sciaquette varie. Io adoravo L7 e Bikini Kills. Tutto l’ambiente femminile era diverso. Le veline della tv non interessavano a nessuno. Non c’era questo andazzo di gente stronza che ti dice che se non fai i figli hai colpa di tutti i maili della società e che se pensi alla carriera sei una donna a metà e che “non ci sono più le donne di una volta” e varie altre puttanate che sento quotidianamente con le mie orecchie da quando assistiamo impotenti a questo rigurgito patriarcale e di intromissione ecclesiastica negli affari di stato. Non mi sarei mai sognata che si attaccassero così spudoratamente le donne per quanto riguarda l’autodeterminazione, l’aborto, il diritto al lavoro senza ricatti emotivi vari. Non mi sarei mai sognata che un tizio imbecille potesse andare a dire in una trasmissione Rai che le lotte femministe non sono servite a niente, perché l’unica cosa che le donne hanno ottenuto è di andare a sculettare in tv, senza che nessuno sollevasse obiezioni! Io credo che a un tizio così debba essere impedito di circolare e che dovrebbe vivere nella paura che qualcuna gli spacchi la testa. Lo credo fermamente. Noi a tanta meschinità non ci pensavamo proprio. Ormai pensavamo di essere liberi tutti, in un certo senso. Pensavamo che nessuno poteva permettersi di giudicarci, né che nessuno avrebbe avuto abbastanza potere da tagliarci le ali, né che nessuno avrebbe voluto tornare indietro, ma che le cose sarebbero migliorate e basta.

Ora? Molti sono amareggiati, intristiti. Moltissimi, a dire il vero. Ma io continuo a considerarci dei sopravvissuti che non si possono arrendere. In qualche modo bisogna cercare di vivere nella maniera che si considera migliore e non farsi influenzare troppo da una società che ci fa schifo. La cosa più importante per me è cercare di non rendersi ricattabili. Questa è una mia spiegazione sociologica al fatto che molti di noi non hanno ancora figli e che magari non ne vogliono fare proprio. Non c’è niente più di un figlio che ti rende ricattabile. Quando devi rispondere solo di te stesso, puoi permetterti di non accettare certi sistemi e cercare di trovarne altri. Se qualcuno dipende da te… Bè, allora puoi solo adattarti e tirare la carretta. Quelli che li hanno fatti, al contrario, è perché probabilmente hanno voluto darsi un senso che eludesse dai sogni e pensieri della gioventù e in qualche modo questo mi rattrista. O perché è capitato. O perché lo desideravano. Chi lo sa. Ma la mia spiegazione sociologica, modestamente secondo me, andrebbe tenuta in considerazione.

E questo è tutto quanto volevo dire, per ora.

R.I.P. CSOA Garibaldi.