lunedì 21 aprile 2008

Horror Vacui


Ieri era il mio compleanno e sono andata a fare bookcrossing all'Umanitaria perchè volevo vedere Alessandro Haber che leggeva Bukowski, poi ho affogato i dispiaceri in una cena cingalese.
Nel frattempo il paese è regredito e i 31 anni mi si attaccano al collo come una scimmia.
Bukowski: che meraviglia.
Uno dei momenti più illuminanti della mia vita è stato quando una tipa di cui ero diventata amica e a cui volevo piacere a tutti i costi perchè molto solare e catalizzatrice, mi restituii dopo appena un paio di giorni un libro di Bukowski che le avevo prestato perchè VOLEVO le piacesse, e mi ero pure spesa per scriverle una dedica che esprimesse fino in fondo ciò che speravo avrebbe condiviso con me leggendo quelle pagine.
"Non riesco a leggerlo" disse "è troppo volgare", massimizzando così l'effetto sminuente nei miei confronti, ossia inquadrandomi nel ruolo di quella con gusti rozzi e meschini mentre lei si elevava sguazzando nell'acqua limpida del Pensiero Nobile. Rimasi malissimo.
Poi pensai: "Ma brutta cretina. E' la vita che è volgare".
Da quel momento realizzai che potevo avere più affinità e attitudini con un vecchio maschilista ubriacone e sporco che però sapeva scrivere, e soprattutto sapeva guardare in pieno l'orrore e la vacuità che caratterizzano buona parte delle umane sorti, tutto ciò che le anime belle fanno finta che non esista o che non le riguardi. Piuttosto che con una di tali anime belle che si compiace tanto del proprio riverbero sugli altri, piccole insignificanti comparse sul proprio palcoscenico.
Come da copione, passata la sbornia, la tipa in questione si rivelò per quel che era, ossia una logorroica senza personalità che si buttava a pesce su quelli che riusciva ad ammaliare, cannibalizzandoli. E non era neppure cattiva: di solito le andava pure male, perchè presto o tardi tutti quanti la abbandonavano miseramente, sfiniti. Come dire, spero che gli anni ti abbiano portato consiglio.

C'è una cosa che mi fa schifo più di tutte ed è la paura, i partiti della paura, la politica della paura, la gente che ha paura. Sto maturando un vero e proprio odio per le sciure spaventate che parlano nascoste dietro le ringhiere dei balconi e se sono certe di essere abbastanza lontane si sfogano della loro vitaccia infame contro di te e il tuo cagnolino che stai portando a spasso e che diventa il loro Nemico Pubblico Numero Uno. Le stesse sciure che ad alta voce sotto la mia finestra dicevano cose raggelanti tutte compiaciute, cose tipo "Ah! signora mia, io sono ben contenta che tra qualche anno non ci sarò più, non invidio proprio i miei figli e nipoti per come vanno le cose!"
E tutto ciò continuando a credersi delle brave signore timorate di dio, pur rendendoci l'aria irrespirabile.
E io che non sono timorata di dio, posso dire che quel mondo in cui lei signora mia non ci sarà più, sarà comunque un mondo che ha fatto un passo avanti.
Le donne mi fanno ancora più incazzare degli uomini imbecilli.

La Destra per me non è un partito o un'ideologia e nemmeno un duce ma è quel modo di pensare che incatena alla paura, che è la paura dell'altro - del diverso - del terrorismo - della recessione - dell' immigrazione - dei cani ai giardini - di quelli che vogliono semplicemente vivere in modo diverso da te senza doverti chiedere il permesso - di quello che cammina dall'altra parte della strada e ti guarda per sbaglio e di sicuro è un poco di buono - della donna troppo emancipata di cui sparlare o da insultare per rimetterla al suo posto - di diventare poveri- di essere fregati da qualcuno più furbo di te e per sollevarsi dall'onta l'unica è fregare a tua volta qualcun altro e soprattutto dell'ommioddio si salvi chi può, ognuno per sé e dio per tutti!

La paura ti fa credere che se non c'è un Mercato - un Dio - uno Stato, non si possa nemmeno pensare a qualcosa di diverso in cui credere, a un modo nuovo per soddisfare i propri bisogni senza che qualcuno venga lì a spiegarti QUALI sono o dovrebbero essere questi bisogni.
Per me la Destra è solo la paura del cambiamento. Sono i dazi, i protezionismi, la conservazione delle abitudini soprattutto mentali. La strenua difesa per evitare che cambi qualcosa che è già cambiato nel profondo mentre tu, frescone, eri impegnato a cazzeggiare.
La Destra si traveste da umana necessità per la sicurezza, il benessere e l'allontanamento coatto di tutto ciò (persone o situazioni) che potrebbe modificare l'esistente appannando certi privilegi anche ingiustificati, a un più attento esame. La Destra per me sono le ville in cui sono asserragliati i ricchi, sono le prigioni, sono le feste senz'anima ma solo sesso droga & latinoamericana, sono le maschere indossate all'orgia di Eyes Wide Shut, è un po' tutto ciò che mi fa schifo, diciamo.
Ma c'è una cosa che va riconosciuta alla Destra è che la Destra è. Esiste.
Io so anche cosa sia la Sinistra, solo che in giro non ce la vedo proprio. Non c'è.
Però ogni tanto un refolo di vento mi passa proprio sotto al naso e ne distinguo subito l'odore meraviglioso. Ci sono certi spazi e certe persone e certi atteggiamenti e certe serate che in qualche modo continuano a esistere e reclamano la loro prepotente presenza e allora quasi quasi sembra che, in fondo, anche 31 anni non sono poi così male e neppure lo sono state queste elezioni, alla fine, perché il tipo del seggio prima di darmi la scheda del Senato ha voluto controllare il mio anno di nascita e se non sono soddisfazione queste, signora mia, bè, allora è proprio giunta per te l'ora di schiattare.

sabato 5 aprile 2008

Jan Saudek e Joel Peter Witkin, fino al 27 aprile al Pac di Milano


Questa è una mostra che Nostra Signora Letizia Moratti ha trovato troppo scioccante per i deboli cuori e le deboli menti dei suoi sottoposti, ossia i cittadini milanesi, e non ha voluto che varcasse la soglia di una sede istituzionale come il Palazzo Reale. Solo la testardaggine del Vittorio Sgarbi nazionale, che per fortuna quando si tratta di arte non è completamente rintronato, ha permesso che la mostra avesse luogo in una sede più defilata e dedita alle sperimentazioni contemporanee per vocazione, come il Pac. La mia speranza è che la mostra registri un afflusso impressionante di visitatori, perlomeno per far apparire un lieve rossore e un voltar del capo pieno di vergogna alla sciura Moratti Vien Dal Mare (o giù dai monti).

Certo, i due artisti sono crudi e noi apposta andiamo per vedere. Non c’è niente di zuccheroso nella morte, nella deformità, nel cinismo e nella sessualità esplicita: ragione in più per esserci e per vedere finalmente fin dove l'arte può spingersi e cosa lo spirito umano può sopportare, lontano dai circuiti del buonismo di facciata, della bellezza levigata e del marketing politicamente corretto. Questo è un altro territorio e noi vogliamo il diritto di poterlo esplorare.

Ho scoperto Saudek tanti anni fa, a Praga. Ho ammirato da subito la sua cifra distintiva, i tenui colori pastello che dipingono il grigio dello scantinato che è il suo set d'elezione, un muro grigio scrostato sulla quale inscenare una realtà denudata, goffa, viziosa, vanitosa, esaltata. Dalla finestra della sua cantina si può vedere qualsiasi cosa: un cimitero, la luna, un altro muro cupo, a seconda del proprio umore. Saudek mette in scena la realtà con l'inganno e la finzione. Le sue immagini stampate e colorate a mano recano titoli scritti a penna e retrodatati di un secolo. “Il maestro di danza” è Saudek stesso che impartisce lezioni alla sua allieva completamente nudo. “La bella ragazza che amavo” ha parte del corpo deforme, ma si compiace del suo bel viso allo specchio. “La signora nel palco”è una contorsionista nuda con le pubenda in primo piano, ma che osserva compita attraverso le lenti di un binocolo da teatro. Saudek sfida il tempo, con le datazioni fasulle ma anche con la serie “Dieci anni nella vita di Veronika”. E' dotato di ironia cinica: “La storia del bere nella Repubblica Ceca” è data da una serie di fotogrammi che vedono una nana e una donna calva agghindate e serie all'inizio e via via sempre più discinte e ubriache, fino a crollare al suolo nude alla fine.


Witkin è una novità per me, ma è chiaro da subito che è un'artista della stessa pasta di Saudek, anche se flirta più con la morte che con il sesso. Ma il senso del grottesco decisamente li accomuna e anche una certa allegra crudeltà visiva. Fotografare i morti facendoli recitare come fossero vivi denota, in fin dei conti, una tranquilla meditazione sulla morte, come se non fosse niente di straordinario, e così infatti è, ma per l'uomo moderno a quanto pare è una vera rivoluzione ragionare di questa verità. I suoi soggetti sono invenzioni dense di dettagli scenografici misteriosi, che richiamano una sorta di alchimia simbolica. Usa spesso un bianco e nero morbido, virato al grigio e anche la tecnica del collage, graffiando e incidendo le lastre. “Catina” è un aggraziato scheletro di sposa, coloratissimo, con tanto di velo e bouquet, ma che tiene imprigionato un piccione nel suo sterno. L'orrore di “Leda”, un corpo deforme circondato da infanti buttati a terra come stracci vecchi, è mitigato dall'apparizione di uno splendido cigno in primo piano e da una luce sovrannaturale che discende dall'alto. Gli still life sono ironici, zeppi di falli e altri dettagli anatomici, come un seno appoggiato su un piatto in mezzo alla frutta. L'America di “The raft of G.W. Bush” (2004) se ne va a spasso disperata sulle onde impervie dopo il naufragio, sulla stessa “Zattera della Medusa” che dipinse Géricault (1819). Come a dire che tutta l'umanità sta sempre su una zattera in mezzo all'Oceano, ondivaga.