domenica 28 giugno 2009

Le Bestie di Satana IV parte - I Fatti 1


Nel gennaio del 2004 Mariangela Pezzotta viene uccisa dal suo ex Andrea Volpe con l’aiuto della nuova fidanzata Elisabetta Ballarin, in uno chalet di proprietà della famiglia Ballarin a Golasecca, nel Varesotto.

Con questo omicidio, si apre ufficialmente la caccia alle cosiddette “Bestie di Satana”, l'inquietante nome coniato dai media per l’occasione. Ad oggi, si continua a parlare di setta nonostante dalle sentenze sia stata stralciata l'accusa di associazione a delinquere per tutti gli imputati.

Ma che cosa è successo allora?

Questa è la storia di un pugno di ragazzi che hanno commesso omicidi senza senso. A un certo punto viene tirato in ballo nientemeno che il Diavolo in persona e da lì si è aperta la voragine. Perchè se ci si mette di mezzo il diavolo poi niente è impossibile. E dato che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, si può perfino evitare di dare spiegazioni credibili o fornire un qualsivoglia movente e magari anche accusare altri che non erano presenti di aver “ispirato” gli omicidi nel nome del demonio.

Questa è una storia purtroppo ancora aperta, anche se tutti la vogliono solo dimenticare.

Andrea Volpe viene dunque colto in flagrante per l’omicidio della Pezzotta. E c’è ancora il padre di Fabio Tollis che gli alita sul collo dal giorno in cui è sparito il figlio, nel lontano 1998, e che non ci mette molto a fare due più due. La madre di Chiara Marino, l’altra vittima del duplice omicidio insieme a Fabio Tollis, in una puntata di “Chi l’ha visto” aveva affermato che dei satanisti, in particolare Paolo Leoni, avevano traviato sua figlia. Tutta la simbologia satanista di chi suona heavy metal e gravita intorno al Midnight pub di Milano c’era già, pronta all’uso per i giornali e i salotti televisivi. Dopo giorni di confusione e racconti fumosi, Andrea Volpe sa cosa dichiarare. Che la setta esisteva. Che nella setta tutti erano più importanti di lui. Che lui ha ucciso sì, ma solo perchè gli era stato ordinato. Che non ci si poteva opporre alla volontà del gruppo, altrimenti si faceva una brutta fine.

Ma chi faceva parte della setta? Sicuramente le persone che hanno partecipato con lui all'omicidio di Fabio e Chiara e poi anche qualcun altro che quel giorno non c’era, qualcun altro da buttare nel calderone.

D'altronde, lo ammette lui stesso nella registrazione di un suo colloquio in carcere col padre il 18/02/2004, dagli atti : “io, pa’, se la gente mi infogna, io tiro dentro un sacco di gente, mi invento nomi a palla, dico: “C’eri anche tu”, eh, alla fine io posso dire così.” Ma nel processo d’appello questa circostanza non ha assunto “alcun rilievo in quanto precedente l’inizio del protratto e travagliato percorso che lo avrebbe portato alla scelta collaborativa”, come ha sottolineato la sentenza.

Stessa sorte per un'altra intercettazione interessante del 24/06/04 è stata raccolta nella cella di Mario Maccione, reo confesso anche lui, l'unico minorenne all'epoca dei fatti : MARIO - (...)che Volpe, conoscendolo, lui non andava da solo in carcere, hai capito?

COMPAGNO DI CELLA–Beh, c’ha Sapone, c’ha quell’altro.

MARIO–Lui coinvolge gli altri, anche se non c’erano. A me non ha potuto con Mariangela, perché dalla... l’intercettazione mi ha salvato... col telefono no?”

Anche Nicola Sapone, intercettato il 19/10/04 a colloquio col padre, afferma: “Di Mario (Maccione, ndr) non me ne frega un c... Ma Ozzy, Eros e Marco (Zampollo, ndr) non c'entrano, perchè devo andare a raccontargli palle?”. Eppure.

Eppure per qualche motivo, gli inquirenti della procura di Busto Arsizio prima e di Monza poi, insieme con i media tutti, si affezionano da subito alla versione dei fatti data dal Volpe, quella della setta, dell'assenza di movente nel nome di Satana, e della chiamata in causa di persone che non erano nemmeno presenti sul luogo dell'omicidio né nel primo caso (omicidio Tollis-Marino), né nel secondo (omicidio Pezzotta), indicate e poi condannate come “ispiratori”. Tre persone che si stanno facendo quasi 30 anni di carcere su prove indiziarie e che continuano a dichiararsi innocenti. L'unico che sempre c'era e sempre agiva era lui, Volpe, che alla fine dopo tre omicidi è stato condannato a 20 anni con rito abbreviato e che se tutto va bene sarà fuori molto prima, a parlare nelle trasmissioni televisive come già ha cominciato a fare, nella parte di quello ravveduto. Quello che è stato messo in mezzo.

Nel rileggere a ritroso la storia, vien da pensare che Volpe non abbia bisogno di essere “ispirato” da nessuno, per uccidere, e che faccia tutto benissimo da solo.

E viene anche da pensare che Volpe sia uno che fa fede al suo nome.

Marco Zampollo di Brugherio, Eros Monterosso di Sesto San Giovanni e Paolo “Ozzy” Leoni di Corsico sono stati condannati come ispiratori dell’omicidio Tollis-Marino e accusati di essere membri di una setta satanica un po’ strana, assolutamente ignorante riguardo i riti esoterici e fondamentalmente contraddittoria sui propri scopi e regole interne. Leoni ha da sempre avuto la colpa di essere inviso alla famiglia di Chiara e indicato come uno che aveva rovinato la figlia; e soprattutto, di avere per padre un presunto satanista, ora defunto, che aveva compiuto un omicidio per motivi passionali nel 1985 a Trezzano sul Naviglio. Fu poi condannato e rinchiuso nell' ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere in quanto schizofrenico. E’ quindi molto facile indicare in “Ozzy” la mente della setta, il capo carismatico, nonostante la sera dell’omicidio Tollis-Marino fosse tranquillamente al Midnight, il pub di Milano dove ci siamo ritrovati tutti quanti negli anni ’90 a tirar tardi se appena appena ascoltavamo musica heavy metal, “satanisti” oppure no. Non si è riusciti a provare che “Ozzy” sia mai stato realmente presente a qualche riunione della setta: anzi sì, perché si prese per buona la dichiarazione del suo caporeparto alla Metro di Cesano Boscone, che teorizzò la possibilità tecnica, per un dipendente, di assentarsi un sabato pomeriggio per qualche ora senza che nessuno se ne accorgesse; “tuttavia in 35 anni non è mai capitata una cosa del genere, che io sappia”, disse in tribunale. Basta tanto poco per far crollare quello che in altre circostanze sarebbe un alibi inattaccabile. La conclusione del tribunale di Busto Arsizio aderisce al teorema dei pm, ossia ritenere che l'imputato, il quale ufficialmente risultava essere al lavoro, verosimilmente riuscì a sgattaiolare via senza essere visto, giusto in tempo per essere presente alla riunione in Fiera di Senigallia a Milano, per decidere di un omicidio che poi non commetterà.

Cominciamo dalla fine: la sera del 24 gennaio 2004 Andrea Volpe, durante un weekend chiuso in uno chalet a Golasecca con la fidanzata Elisabetta Ballarin, impegnati entrambi a conciarsi da buttar via assumendo svariate sostanze, decide di chiamare la sua ex Mariangela Pezzotta, cui era solito spillare soldi da anni, per chiederle di raggiungerlo allo chalet, forse proprio con lo scopo di farsi consegnare altro denaro.Qui la uccide a colpi di pistola, magari a seguito di un suo rifiuto, inaccettabile per un tossico, in particolare dalla normalmente mansueta e cedevole Mariangela. Poi i due fidanzati, strafatti, cercano di seppellire la vittima ancora viva nella serra adiacente, ma decisamente non ne sono in grado, e la lasciano con i piedi che sporgono fuori dal terreno. Volpe, in preda al delirio, chiama Nicola Sapone: con tono concitato, gli dice semplicemente di venire subito.

E quello arriva. La versione di Sapone è di essersene andato via dopo pochi minuti, non appena resosi conto dell'incresciosa situazione e della pericolosità di volpe, tanto che Elisabetta Ballarin non l'avrebbe neppure incrociato (circostanza confermata dall' avvocato Cramis, legale di elisabetta, durante un' udienza del dicembre 2005), dichiarando “Io non sono mai stato qui”. L’ingenuo.

La versione di Volpe è che Sapone abbia finito Mariangela a badilate, poi l’abbia seppellita lui stesso e che infine sia stato sempre lui a comminare al Volpe l’omicidio della sua ex. E quale sarebbe il movente del Sapone? Satana, in primis.

O anche, che c’era la necessità di far fuori Mariangela perché forse sapeva qualcosa dell’omicidio di Fabio e Chiara. In ogni caso, il Sapone era sicuramente lucido, quella sera, a differenza degli altri due. Si suppone che sarebbe stato almeno in grado di seppellire Mariangela per intero.

Fatto sta che il Sapone a un certo punto se ne va davvero e gli altri due si fanno ritrovare dai carabinieri a bordo della macchina della vittima, impastati contro il parapetto di un ponte, nel tentativo di sbarazzarsi dell’auto. Da lì in poi, è tutto un delirio di spiegazioni confuse, fino a quando dalle parole di Volpe si delinea l’idea della setta e degli omicidi nel nome del diavolo.

Volpe non ha molto da perdere e tutto da guadagnare nel dimostrarsi collaborativo: rende possibile il ritrovamento dei corpi di Fabio e Chiara nei boschi di Somma Lombardo, sollevando i genitori dei due ragazzi dalle tormentose e inutili indagini che avevano intrapreso per anni nella speranza di rivederli.

Grazie a questo, diventa ufficialmente un teste attendibile. La posizione pare piacergli molto e non si fa pregare nel fornire dettagli. Ricorda con precisione molte circostanze ovviamente indimostrabili, ad esempio le parole di Marco Zampollo, la cui presenza sarebbe altrimenti sempre nebulosa e di contorno assolutamente marginale, ma che a seguito del suicidio di Andrea Bontade, schiantatosi con la macchina, avrebbe detto: “Finalmente una cosa fatta bene”. Queste parole riferite dal Volpe sono la condanna al carcere a 26 anni per Marco Zampollo, dato che dagli atti non risultano praticamente altre circostanze in cui abbia avuto una parte attiva. Lui gravita quegli stessi posti degli assassini e li conosce, parla con loro al telefono in comunicazioni normali, di servizio, dove sei, cosa fai, vediamoci lì. I suoi più stretti contatti sono con Monterosso e Sapone. Poi viene Maccione, un poco anche Ozzy. Volpe praticamente mai. Conosce anche le vittime, in particolare Fabio. La tesi che lo condanna, insieme alle parole del Volpe, è: “Non poteva non sapere”. Si dice ogni tanto, vagamente, che lui era presente, ad esempio nel formare il pentacolo in certi riti improbabili.

Anche la madre di Chiara Marino ricorda con precisione e dichiara al processo che lui si presentò a casa loro insieme a tutti gli altri per consolarla, poco dopo la sparizione della figlia. Anche se, bisogna dire, la cosa di per sé non avrebbe costituito reato, era comunque falsa: Zampollo ha dimostrato durante il processo di essere stato in ospedale in quel periodo e subito dopo a casa in convalescenza, impossibilitato a muoversi. Lui in qualche modo c’era sempre, anche quando non c’era, proprio come Leoni.

Zampollo e Monterosso, altra figura nebulosissima, sono due che vengono sempre aggiunti in fondo, alla fine, in qualsiasi articolo di giornale, negli atti del processo, nei racconti dei pentiti che di solito si concludono con: “… e poi c’erano Zampollo e Monterosso”. Ricordi cosa hanno detto o cosa hanno fatto in una qualunque delle situazioni oggetto del processo? “No”.

Nebulose anche le risposte del Volpe, punteggiate di “non ricordo” o “ero sotto l’effetto di stupefacenti”, quando si tratta di rispondere a domande dettagliate sui fatti di cui è lui il protagonista o nel circoscrivere elementi precisi di riscontro alle sue parole. Ad esempio, c’è tutto un tira e molla sulle badilate date a Mariangela Pezzotta, che prima sarebbero segni del “cane Susy che le ha mangiato la faccia”, infine sarebbero state inferte dal Sapone. Per non dire delle accuse, poi ritrattate, verso la Ballarin, che prima era stata solo a guardare senza capire cosa stava succedendo, poi era a conoscenza della setta che aveva ordinato il sacrificio di Mariangela, e infine no, lei non c’entrava per niente.

Un’altra cosa certa è che la Ballarin nella sua testimonianza accusa solo Volpe e non Sapone. E' anche evidente che Nicola e Elisabetta avevano un rapporto di simpatia reciproca e amicizia, mantenuto anche dal carcere, dal quale continuano a scriversi lunghe lettere. Certo la cosa non doveva far piacere a Volpe. Forse anche per questo, le sue confessioni sono caratterizzate da un continuo scaricabarile nei confronti di Sapone. Ma quali che siano stati i loro effettivi rapporti, a un certo punto l’ansia di Volpe di salvaguardare sé stesso a scapito di Sapone, l’ha condotto a un passo falso talmente grossolano che finalmente qualcuno ha dato l’alt ai suoi sproloqui. Il Volpe ha infatti accusato Nicola Sapone anche di un omicidio del 2000 ai danni di un pregiudicato colluso con la 'ndrangheta di nome Antonio Grasta, che fu trovato cadavere nei boschi di Lonate Pozzolo mentre è dimostrato che il Sapone era in vacanza a Cuba. E per ironia della sorte, fu proprio Volpe ad accompagnarlo all'aereoporto. Ora è in corso il processo che vede Andrea Volpe imputato di calunnia nei confronti di Nicola Sapone. Un’eventuale condanna, porterebbe a rivedere finalmente l’attendibilità di Volpe come teste e a far aprire un’istanza di revisione del processo anche per Leoni, Zampollo e Monterosso.

Da Il Faro Magazine

domenica 24 maggio 2009

Eppur si muove


Qualche sabato fa sono andata al matrimonio di una collega molto, molto credente. E il marito peggio di lei.
Per cui, ci siamo sorbiti una cerimonia lunga un'ora e 40 minuti (ebbene sì: un'ora e 40 minuti), in cui non si è parlato mai dei due sposi e del coronamento del loro amore, bensì dei doveri del matrimonio, ovviamente tutti declinati al femminile. Poi c'è stato spazio per una polemica contro la modernità e il concetto di libertà, che deve invece essere sostituito dal concetto di obbedienza e di sottomissione (della donna), perché ciò che dice il vangelo è verità, non opinione, e l'unico scopo che abbiamo tutti nella vita è quello di salvarci l'anima secondo i dettami della chiesa.
Tutto questo, prima di cominciare la cerimonia, proclamata a gran voce di tipo tradizionale, il che vuol dire, secondo le istruzioni per l'uso dettate dall'officiante:

a) omelia interamente in latino (disponevamo di un libretto con traduzione a fronte, di cui avremmo fatto volentieri a meno, dato che esibiva tutti i passaggi più retrivi delle famigerate lettere di san Paolo agli apostoli). Il filo comune era, ça va sans dire, la sottomissione della donna. Cito a memoria (fallace): "perchè dio ha creato l'uomo a sua immagine e poi dal corpo dell'uomo prese una costola per creare la donna, così che fosse d'aiuto all'uomo".
Donne create per il piacere e la cura dell'uomo, questa interpretazione del vangelo, lo si ben sa, è molto in voga ancora dopo 2009 anni: lo sentiamo tutti i giorni dai gossip e le cronache.
Non è stupefacente?
Poi ovviamente c'erano indicazioni del tipo: vincolata a un solo talamo (la donna), obbediente, rispettosa, riservata, ecc. ecc., una lista pressoché infinita. Indicazioni per lo sposo? Una sola: quella di amare la sua sposa. Comodo. Il matrimonio declinato al maschile sembra una vera pacchia così. Declinato al femminile, sembra più un giogo infernale.

b) la comunione si riceve in ginocchio, l'ostia esclusivamente in bocca e non nelle mani.
Poi, avvertenza (per le donne): bisogna essere vestite decorosamente.
Sono anni che non faccio la comunione. Non ho intenzione di riprendere ora.
Specie dopo che ho visto una vecchia che a malapena si reggeva sulle gambe, doversi inginocchiare a fatica. E il prete impassibile che la guardava aspettando.
D'altronde che gli frega a lui, visto che gran parte della cerimonia l'ha passata voltato verso l'altare, a dar la schiena ai convenuti. Bah.


Questo è il nuovo corso di Ratzinger, fare carta straccia del Concilio Vaticano II.


La sera, ho fatto un salto alla Fornace, un centro sociale di Rho appena rioccupato dopo lo sgombero.

C'era il dj set per festeggiare. Qui ho beccato un tipo che conosco e che sta dentro il collettivo.
ci spiegava di come è stato rioccupare, di come si stavano organizzando per il futuro.
Dentro e fuori, pieno di gente.
Lo scopo della Fornace, ora, è quello di opporsi alle politiche per l'Expo 2015, oltre a creare spazio per iniziative culturali e di aggregazione in un territorio altrimenti in balia del soldo, degli appalti, delle mafie, del caporalato, della corruzione e della sverniciatura "european-style/only business oriented" che si vuol dare alla zona. Per cui la parola d'ordine è concretezza: non ci piace questo, ci opponiamo a quello. Fatti. La politica è strettamente legata al territorio. E il mio amico glissava sul fatto che il giorno dopo ci sarebbe stato lì dietro un comizio di Satana La Russa in persona.
"No, non organizziamo nessun tipo di contestazione. Che parli pure. Perchè andare a perdere tempo? Poi si rischia che la gente non ti capisce. Sono tutti pronti a darti la patente del facinoroso. Non aspettano altro".

Sul momento la cosa mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca, ma solo lo spazio di digerire che le cose cambiano. Solo lo spazio di pensare infastidita che i fascisti parlano nelle piazze e alla gente gli sta bene così e che fino a qualche anno fa non sarebbe andata così liscia.
Ma invece va bene così. E' esattamente così che deve essere: superamento delle ideologie (fino a un certo punto, ovvio: non sono accettabili saluti romani dai ministri o ronde di nostalgici filo nazisti, non scherziamo). Ma ciò che intendo è che così devono essere le realtà alternative sul territorio, questa è la vera trasposizione del motto "Think globally, act locally".
Le politiche per l'Expo rappresentano tutto il marcio che sta dietro al turbocapitalismo mafioso all'italiana, corredato di disprezzo verso il cittadino, la comunità e il territorio. Mazzette a gogò, cementificazione e poc'altro. "Migliaia di posti di lavoro", dicono, sì, precari però, e lottizzati e caporalati e risparmio sulla sicurezza.

Così in una giornata sola ho visto come è cambiata la chiesa e come sono cambiati i centri sociali. C'è chi guarda avanti e c'è chi guarda indietro.
La chiesa volta le spalle ai fedeli, i centri sociali lasciano parlare un nemico.
Non c'è più religione.

domenica 15 febbraio 2009

Robert Frank, lo straniero americano




Robert Frank è prima di tutto uno straniero perchè nato in Svizzera e uno svizzero è straniero da qualsiasi parte, figuriamoci in America. Poi, come tutti gli stranieri, viene a guardarti qui dove vivi e quando ti osserva il suo sguardo è disincantato ma non del tutto estraneo, dato che è venuto fin qui.

Si dice che Robert Frank fosse già famoso per i reportage ma che poi decise di darsi all'osservazione della quotidianità e alla foto d'arte, inerpicandosi su una strada impervia che perdona poco, ma che invece gli rese giustizia quasi subito con il successo della mostra “Les Américains” a Parigi. Il suo viaggio on the road, durante il quale ne sviluppò le immagini, non fu certo un on the road qualsiasi ma realmente degno di questo nome, dato che per accompagnatore aveva un tizio di nome Jack Kerouac. Poi è diventato anche regista, ma questa è un'altra storia.

Cosa vede e cosa pensa uno straniero che si fa americano tra gli americani?
“E' il malinteso ad essere importante”, ci avvisa. E forse questa regola vale in tutto il mondo.
Nel 1948 le donne con il trench stanno a fumare nella vetrina di una caffetteria di NY, le strade sono lunghissime e affollate e le pozzanghere riflettono i grattacieli.
I toni del grigio sono morbidi, quasi una onnipresente foschia, mentre i juke box risplendono di luce propria. Nel New Jersey ci sono signori che indossano la tuba e da qualche altra parte, a Detroit, come nel Montana, i popolani si bagnano al fiume oppure pigiano tutta la famiglia in macchine roventi (1956). In America si guida molto, o quando tutto manca si prende il tram e si sa che le facce sui tram sono sempre incredibili.

Robert Frank è riuscito a sorprendere delle immagini che si fanno storia e cronaca e spaccato di società, come quella della bimba che corre nuda trascinando una bandiera americana svolazzante, mentre un ragazzino allibito legge da un giornale che titola MARYLIN DEAD. Come dire che nel suo momento di massimo splendore, più spensierata che mai, l'America muore. Forse anche questa è una regola che vale un po' dappertutto.

Poi ci sono i collage graffiati incisi coperti di scritte e non ce n'è uno che non ti faccia venire il magone. C'è quello per gli amici scomparsi, “so that we remember – a little bit longer” e un altro, diviso in riquadri, ancora più martoriato perchè raffigura i malati e il dolore dell'ospedale di Halifax. C'è tutta un'umanità dolente che non fa altro che ciondolare in giro, alla fin fine, forse proprio questa è l'America per Robert Frank.
La foto più rappresentativa, in questo senso, è quella che ritrae l'alba del giorno successivo al 4 luglio: in un paesaggio spettrale gli ubriachi giacciono sulla spiaggia di Coney Island, presidiata da un'inquietante torre.

Poi arriva la fase concettuale, ma purtroppo per Robert Frank non c'è niente che possa essere significativo quanto l'umanità dolente e ciondolante nei paesaggi grigi a cui ci ha abituato.
Per cui sembrano tirati per i capelli certi giochetti del 1977 come “Parole” che raffigura delle stampe fotografiche stese ad asciugare al sole. O peggio ancora il trittico “La fede e l'amore sono ciechi” (1981), dove una maschera dagli occhi cavi pende da un albero.
Il che può voler dire una cosa sola, ossia che i giorni con Jack Kerouac sono ormai lontani.