lunedì 22 dicembre 2008

Arbeit macht frei


L'impiegato della postazione n. 48 si siede alla sua scrivania tutte le mattine alle 9 in punto. Si stropiccia gli occhi e si toglie la giacca, poi si accoccola sulla sua sedia con soddisfazione mista a rassegnazione. Sotto la sua finestra sfilano i disoccupati. Scioperi non se ne fanno più: ma i disoccupati sfilano per le strade 2 volte al giorno, alle 9 del mattino e alle 18 la sera. L'impiegato della postazione n. 48 si sporge per guardare il procedere della massa che strascica i piedi sulla strada e va avanti, senza mai fermarsi, se non alla fine del percorso stabilito.

Tutti pensavano che fosse un'iniziativa estemporanea, non poteva durare, si sarebbero stancati, prima o poi. Sfilare, perchè? Non si ottiene nulla, tanto. Questo era il mantra che circolava di bocca in bocca. Ma sono mesi che sfilano, ormai. All'inizio scandivano slogan, urlavano, era impossibile non accorgersi di loro, quando ti passavano sotto la finestra. Impossibile non staccare gli occhi dal computer e farsi percorrere da un brivido, un sudore freddo che rimbalzava negli occhi di tutti i colleghi, ci si guardava in faccia senza dire nulla e ognuno dentro di sè pensava: "anch'io avrei potuto essere tra loro... e forse presto lo sarò".


La ditta non navigava in buone acque. Nessuna ditta, d'altronde.
E quelli continuavano a sfilare, silenziosi e compatti. Loro che erano rimasti, loro che avevano ancora un posto di lavoro, i fortunati, per così dire, non si sentivano poi tali. Le cose cambiavano di giorno in giorno. I prezzi aumentavano, le condizioni economiche rimanevano drammaticamente stabili, quando non peggioravano. Erano in bilico. La loro posizione era dannatamente scomoda. Dovevano lottare con le unghie e coi denti per rimanere lì dov'erano, bloccati in un lavoro che in fondo non gli era mai piaciuto. L'atmosfera era pesante, stavano tutti a guardarsi le spalle di continuo. Avevano smesso certi scherzi, certe abitudini, certe battute, non era il caso. Anche certe prese in giro, certe alzate di testa avevano fatto il loro tempo. Meglio non rischiare.

L'impiegato della postazione n.48 si sorprendeva incredibilmente a pensare che forse, a volte, è meglio sfilare per le strade e non avere nulla da perdere piuttosto che ingoiare e andare avanti a tirare la carretta per un "privilegio" che fa sentire così a disagio. E non aveva nemmeno più il diritto di lamentarsi. Si ritrovò a pensare che quando a qualcuno, in questa nostra società, togli pure il diritto di lamentarsi, allora sai per certo che sono cazzi acidissimi.


L'impiegato della postazione n. 48 pensava questo, ma poi tremava alla sola idea di poter davvero finire con gli altri a sfilare sotto quella finestra. C'erano delle battute idiote che circolavano tra i colleghi, come per per esorcizzare quelle paure, in genere durante la pausa caffè, cose tipo "magari un giorno ci prendono alle spalle e ci scaraventano dalla finestra, giù in mezzo a quelli che passano di sotto, così non devono sprecare neanche la carta della lettera di licenziamento!" Risate. E un brivido freddo che passa da uno sguardo all'altro per poi affondare rapidamente in un bicchierino di caffè bollente.

Al telegiornale non si dice più niente sulle sfilate dei disoccupati, il cui nome mass mediatico è un altro ovviamente, "sfaccendati". Si parla di "gruppi di sfaccendati", ma è chiaro che non sono gruppi, è una massa che aumenta di giorno in giorno.
Un giorno, l'impiegato della postazione n. 48 guarderà fuori dalla finestra e vedrà la città andare in fiamme. Un giorno.

domenica 2 novembre 2008

La Belle Epoque, Arte in Italia 1880-1915



Pavia, Scuderie del Castello Visconteo fino 14 dicembre 2008

I bei tempi andati, spesso vagheggiati, sono allestiti qui. Una sessantina di dipinti, qualche affiches e una carrellata di filmati di inizio secolo, a celebrare la neonata rivoluzione dei fratelli Lumière, ispirano malinconia e interesse per i germi della società moderna, intravisti fra gli svaghi della borghesia e i contrasti a cavallo fra Positivismo e del Decadentismo, la fine del Secondo Impero, la nascita della Fiat e L'Esposizione Internazionale di Parigi.

Il tutto rimane concentrato sulla nostra penisola, un ambito un po' ristretto forse e ci si domanda perchè anche in queste mostre dal tono minore, seppur affascinanti e meritevoli, l'ingresso sia sempre tanto caro (9 euro). Non parliamo di una grande mostra internazionale, ma di un piccolo gioiello che tutti dovrebbero avere la possibiltà di gustare. Trovo che l'ingresso ai musei dovrebbe essere gratuito o comunque accessibile a chiunque. Chissà se il ministro Bondi, oltre a scrivere poesie su “Vanity Fair”, vorrà raccogliere questo grido di dolore.

Perchè vale davvero la pena di immergersi in un'atmosfera di abiti, voile, cappellini, sorrisi, pose gioiose e affascinanti, mondanità e joie de vivre. I grandi sogni, le grandi aspirazioni per il futuro nascono qui e non son mai morte, anche se la Grande Guerra ci è quasi riuscita a spazzarle via, ma no, il riverbero è giunto fino a noi e ha sorretto gli animi di tutti quelli che per farsi forza hanno sempre guardato ai “bei tempi andati”.

Erano anni in cui alla fiducia nell'industria e nei nuovi miti del consumismo (ben rappresentati dalla affiches pubblicitarie, a opera di artisti quali Dudovich) si affiancava un certo codice di maniere di stampo preindustriale, e dal contrasto nacque il fermento. Gli artisti restano incantati dalle coquette, le signore alla moda, dalla fantasmagoria dei nuovi svaghi della ricca società borghese e dipingono passeggiate in carrozza e a cavallo (Luigi Gioli), signore in bicicletta al parco (Federico Zandomeneghi) o inconsueti interni borghesi (“La signora Ojetti al pianoforte”, di Oscar Ghiglia, 1910 - un ambiente moderno e dal design pulito, lontano anni luce dalla ottocentesca, tristanzuola e opprimente paccottiglia). “Le signore dalla modista” (Federico Zandomeneghi, 1904) si intrattengono in un rituale femminile salottiero. Le ossessioni verso l'altra metà del cielo, riscoperta sotto una nuova luce, non si contano: le signore son spiate ovunque, mentre chiacchierano, mentre prendono il tè e soprattutto l'attenzione verso il loro abbigliamento, inteso come arma di seduzione è altissima. Vittorio Matteo Corcos non si perde un dettaglio della sua “Donna elegante a Saint Malo” (1883), con i guanti di pelle, l'ombrello sottile, il copricapo a falde chiuso da una fibbia dorata, riprodotti con minuzia mentre lo sfondo rimane indistinto.

La bella vita nasconde nuove insidie, certe signore hanno l'aria vampiresca di chi vuole rubarti l'anima e coltivano nuove abitudini decadenti, come mostrato ne “Le morfinomani” di Serafino Macchiati (1905), distese su un divano, l'una caduta in un sonno profondo, l'altra con l'aria allucinata. Le donne fumano e seducono e escono dalle case per frequentare il luoghi sociali rendendoli magici e strani per gli uomini che le osservano, tanto da creare strani fenomeni: “Al Caffè” (1906) Pompeo Mariani porta su tela un luogo buio e anonimo, dove per incanto la gioiosa confidenza di due belle signore sedute a un tavolino crea un alone di luce che le avvolge e le fa risplendere in quel luogo buio.

Il dipinto che rappresenta la mostra è “Mondanità o all'uscita del veglione”, (Aroldo Bonzaghi,1910), quasi il crepuscolo della Belle Epoque. La borghesia avanza affascinante, sicura di sé, meravigliosamente agghindata, mai sazia di bellezza, divertimento, agio, trasgressione. Avanza a testa alta, ben conscia dell'invidia che sucita, verso le magnifiche sorti e progressive cui crede di aver diritto per nascita, come nuovi dei della società.



venerdì 26 settembre 2008

Sono loro che guardano noi!


Non posso più guardare i politici in tivù. Questo perchè sono inguardabili e inascoltabili. Posso sapere le notizie solo da Internet. L'altro giorno per un attimo ho intravisto Gasparri a "PrimoPiano". A parte lo stupore di vederlo e saperlo ministro, chè sembra sempre sia la controfigura di Neri Marcorè. Prima hanno fatto vedere un servizio, in cui un giornalista intervistava il direttore e i redattori di "Liberazione", che rischiano la chiusura perchè Gasparri (ossia il governo che muove i fili che gli escono dalla schiena) vuol tagliare i fondi per l'editoria. Questa è un'altra idea malsana per cui mi ero trovata in disaccordo con Beppe Grillo e le sue leggi di iniziativa popolare, fra cui anche l'abolizione dell'albo dei giornalisti, come se fosse davvero quello uno dei problemi della democrazia di questo paese. Comunque, detto fatto, il governo accontenta Grillo, il che dovrebbe far riflettere sulla bontà dell'idea di base, perchè, è evidente a chi non è completamente stolto e/o in malafede, che se si tagliano i contributi pubblici all'editoria (a fronte di ben altri sprechi, ça va sans dire), rimangono in vita solo i giornali:

a) del padrone;
b) che possono contare su consistenti entrate pubblicitarie, ossia che sono asserviti alle multinazionali e al mercato e alle marchette necessarie a non scontentare l'inserzionista;
c) che sono in ottimi rapporti con chi gestisce la raccolta pubblicitaria del nostro paese in modo praticamente esclusivo, ossia Publitalia, per cui torniamo al punto a).


Difatti, manco a dirlo, chi rischia al momento è Liberazione, Il Manifesto, forse anche la Padania, che però ho l'impressione che sotto questo governo troverà il modo di cavarsela.
Nel servizio di "PrimoPiano", Sansonetti, il direttore di "Liberazione", si appellava all'idea di un pluralismo che vada garantito e non soppresso in un regime democratico, affermando che anche l'elettore di destra è garantito dall'esistenza di voci antagoniste ecc. ecc. Bene, la telecamera torna sul conduttore della trasmissione che chiede a Gasparri che fine farà il pluralismo e perchè si fanno tagli sull'editoria piuttosto che sugli innumerevoli sprechi che sono sotto gli occhi di tutti, insomma, sarebbe l'occasione per fare il brillante come solo un faccia di culo quale un qualsiasi ministro fascistissimo può essere, ribaltando qualsiasi logica e etica e buon senso comune, nel tentativo di dimostrare che siamo tutti più poveri all'interno di un sistema realmente pluralistico dell'informazione, ma no. Il nostro non coglie l'opportunità che gli si presenta ghiotta e decide di strafare e sputtanarsi buttando là un: "io CONTESTO il modo in cui è stato realizzato il servizio... Sarebbero potuti andare in altre redazioni e chiedere ad altri giornalisti bla bla bla..." E' evidente che qualsiasi cosa il cocainomane in questione abbia poi affermato (non lo so, ho cambiato canale prima che un demone da me evocato possedesse Gasparri in diretta) non possa essere tenuta in nessuna considerazione. Perchè tu, ministro per grazia ricevuta, non puoi CONTESTARE un servizio confezionato da professionisti che ti presentano una qualsiasi realtà che il tuo operato ha in qualche modo contribuito a creare. Tu devi RISPONDERE, anche se quella realtà non ti soddisfa e non è stato confezionata ad arte dai tuoi soliti 4 sodali leccaculo, qualsiasi cosa ti venga mostrato, qualsiasi cosa di cui ti venga richiesta spiegazione a proposito del tuo operato tu devi RISPONDERE, e non cazzeggiare. Per giustificare almeno in minima parte gli stramaledetti soldi che ti pigli per fare danni e fare schifo a spese dei contribuenti.

Lui CONTESTA che dei cittadini della Repubblica a cui toglie spazi di libertà, ossia giornalisti e utenti che leggono il giornale o che anche non leggendolo vorrebbero che comunque esistesse - e ricordiamo che il minchione fa capo a un gruppo di potere che chiama sè stesso Popolo delle libertà! Qui non possiamo far altro che rivoltarci nella tomba che ci stanno costruendo intorno insieme alla carcassa di George Orwell e alla sua intuizione della Neolingua - possano chiedergli conto di qualcosa che lui sta facendo in un modo che a lui non garba. Possano chiedergli conto di qualcosa senza preoccuparsi di pensare a ciò che può infastidirlo o metterlo in difficoltà. Lui CONTESTA che un servizio giornalistico possa essere costruito in modo da non giovare alla sua tesi - non è leale, per lui.

Non è la regola del gioco che conosce meglio e che gli piace tanto: quello in cui tutti sono proni e pronti a riverirlo perchè ministro, e pronti a dargli retta e magari assecondarlo perchè lui poi forse potrebbe fare qualcosa per loro, se proprio fosse in buona.


Sempre che non si siano sbagliati e non lo abbiano scambiato per Neri Marcorè.

domenica 27 luglio 2008

La Dea della vita e della morte



Non ho niente da aggiungere a questa prefazione del libro di Starhawk.
Sento profondamente mio tutto ciò che è scritto qui e mi sorprendo di leggere queste parole a questo punto del percorso che ho intrapreso. Ma quando ti incammini su un sentiero, se ne aprono tanti altri e le coincidenze, gli incontri "fortuiti", si sprecano. Vorrei che più persone possibili leggessero questo brano, che contiene in nuce tali e tante argomentazioni profonde (e da approfondire) da far girare la testa. Buona lettura.

Il sogno nel buio: magia, sessualità e politica
di Starhawk


Mentre scrivo i gatti giocano sulla mia scrivania, si puliscono, spostano le mie carte sul pavimento e poi si addormentano arrotolati, sicuri nell'ambiente a loro familiare. Le loro menti non contemplano la velocità del vento a 500 miglia all'ora o la possibilità che ciò che è loro familiare possa trasformarsi in un attimo in ossa e carni carbonizzate.

Noi non possiamo sentirci sicure come loro. Sui giornali leggiamo cosa succederebbe a una città colpita da una bomba nucleare; dei pesticidi nelle acque dei pozzi; di allerta nucleari causati da errori di computer e di bambini con la salute già danneggiata dagli additivi chimici.

Sembra che il sole stia per scomparire dal mondo di ciascuna di noi e che siamo prossime a perdere ciò che non riusciamo a rivendicare. I nostri atti di poteresembrano fragili comparati ai poteri della distruzione. Ci sono troppi nemici, troppi luoghi dove vengono sotterrati scarti chimici, troppe armi stoccate, troppe persone senza lavoro e senza speranza, troppi stupratori liberi. Troppi di coloro che detengono i grandi poteri non se ne curano. Non si sentono parte di questo mondo.

…in una zona dal perimetro di 8 miglia,sono state distrutte di case in mattoni e legno da venti a 160 miglia all'ora, molte le persone rimaste bruciate…

Anche i piccoli gesti di ogni giorno che normalmente ci danno piacere o sollievo in alcuni istanti possono sfumare nell'orrore. Ci sono delle volte che cammino per la strada, sorrido all'uomo seduto sulla sua veranda che ascolta la radio, ai bambini che mettono degli spiccioli sui binari del tram e alla donna i cui cani giocano coi miei cani .. ma in un attimo .. in un battito di ciglia .. sono spariti. Vedo un flash e poi più nulla – nulla di quelle belle case vittoriane tutte colorate, nulla più di quella gente o della terra sotto le strade. Nulla: solo ceneri e terra bruciata, un vuoto nero. So che non sono sola nel sentirmi a volte sopraffatta dalla mancanza di speranza e dalla disperazione. Sento le stesse paure negli amici, nella mia famiglia, da clienti per vengono per un incontro di counseling. La sofferenza personale di ognuno è mossa da questa grande incertezza: e non abbiamo più la fiducia di lasciare un mondo migliore – di lasciare un mondo vivo ai nostri figli. E comunque bisogna dar da mangiare ai bambini, portare in giro i cani, continuare a lavorare, e allora alziamo le barriere che ci permettono di difenderci da un pensiero insopportabile e andiamo avanti in uno stato di negazione e di intorpidimento. Il lavoro è piatto e noi attentamente evitiamo di interrogarci sui suoi significati e sulla sua utilità, anche se sentiamo che qualcosa di profondo e dolce manca nelle nostre vite, nelle nostre famiglie, nelle nostre amicizie; il senso dello scopo, del potere... se n'è andato. E comunque i bambini crescono, non meno belli di quelli di altre generazioni, e ancora quando mettiamo un seme nella terra, questo mette radici e stelo, foglie, fiori e frutti. Ci sono ancora momenti in cui vediamo che i processi della vita continuano, in cui non possiamo non credere che la vita sia mossa da un potere più forte che il potere dei fucili e delle bombe: un potere che potrebbe ancora prevalere se solo sapessimo richiamarlo.

Questo libro parla di come possiamo richiamare in vita questo potere, un potere basato su un principio molto diverso dal "potere su" e dalla dominazione. Il "potere su" è il potere dei fucili e delle bombe, il potere dell'annientamento che sostiene le istituzioni della dominazione. Il potere che percepiamo in un seme, nella crescita di un bambino, il potere che sentiamo nello scrivere, tessere, lavorare, creare, fare delle scelte, non ha nulla a che fare con le minacce dell'annientamento, ma molto con il significato originario della parola "potere", che deriva dal latino popolare podere (essere in grado di) . E' il potere-che–viene- da-dentro.Ci sono molti nomi per il potere-che-viene- da-dentro, nessuno soddisfacente. Può essere chiamato spirito – ma tale nome implica che sia separato dalla materia, e questa falsa divisione come vedremo è il fondamento delle istituzioni del dominio. Potrebbe essere chiamato Dio – ma il Dio della religione patriarcale è la fonte ultima e il depositario del "potere su". Io l'ho chiamato immanenza, un termine che è vero ma anche troppo freddo e intellettuale. E l'ho chiamato Dea, perché le antiche immagini, simboli e miti della Dea come donatrice di vita, tessitrice, signora della terra e delle piante, dei venti e degli oceani, fuoco, rete, luna e latte… tutto mi parla del suo potere di connessione, sostentamento, guarigione, creazione. La parole Dea rende inquiete molte persone che si definiscono "politiche", perché mplica religione e laicità e può erroneamente evocare il culto di un essere esterno. "Dea" rende inquiete anche persone che si definiscono "religiose" o "spirituali" , perché sa di paganesimo, di sangue, di oscurità, di sessualità e poteri bassi. E comunque il potere-che-viene- da-dentro è il potere del basso, dell'oscuro, della terra; il potere che nasce dal nostro sangue, dalle nostre vite e nel nostro desiderio appassionato per la carne viva dell'altro. E i temi politici del nostro tempo sono anche i temi dello spirito, dei conflitti tra paradigmi o tra i principi ad essi sottesi..

Se la posta in gioco è sopravvivere, la questione cruciale diventa: come rovesciamo non tanto quelli che sono adesso al potere, ma il principio del "potere su"? Come diamo forma a una società basata sul potere-da-dentro? Un cambio di paradigma, di consapevolezza, rende sempre inquiete. E' quando ci sentiamo leggermente timorose o imbarazzate da parole come Dea che siamo sicure di essere sulla traccia di un cambiamento profondo, nella struttura e nel contenuto del nostro pensiero.

Per dare nuova forma al principio di potere su cui la nostra cultura è basata, dobbiamo mettere sottosopra tutte le vecchie divisioni. Le separazioni confortevoli non funzionano più. Le questioni sono più ampie di ciò che i termini religioso o politico implicano; si tratta di vedere le connessioni complesse. Sebbene ci venga detto che questi temi sono separati, che lo stupro è separato dalla guerra nucleare, che la lotta delle donne per una paga adeguata non va insieme alla lotta di un giovane nero per trovare un lavoro o alla lotta per evitare che venga installato un reattore nucleare in un sito soggetto a terremoti in una zona vulcanica delle Filippine, in realtà tutte questi aspetti diversi sono tenuti insieme dalla consapevolezza che dà forma alle nostre relazioni di potere. Queste relazioni a loro volta danno forma ai nostri sistemi economici e sociali; alla nostra tecnologia; alla nostra scienza, alla nostra religione, alle nostre visioni di uomini e donne; alle nostre visioni di razze e culture diverse dalle nostre; alla nostra sessualità; ai nostri dèi e alle nostre guerre, che attualmente stanno dando forma alla distruzione del mondo. Io chiamo questo tipo di consapevolezza alienazione (estrangement) , perché la sua essenza è quella di non farci vedere/sentire parte del mondo. Siamo stranieri alla natura, agli altri esseri umani, a parti di noi stesse. Vediamo il mondo come formato da parti non viventi, separate, isolate, che non hanno valore in sé (non sono neppure morte – perché la morte implica la vita). Tra queste cose di per sé separate e senza vita, le uniche relazioni di potere possibili sono quelle della manipolazione e della dominazione.

L'alienazione è il culmine di un lungo processo storico. Ha le sue radici nel passaggio nell'Età del Bronzo dalle società matrifocali, culture centrate sulla terra le cui religioni erano centrate sulle Dee e gli Dèi incarnati nella natura, alle culture urbane patriarcali di conquista, i cui Dèi ispiravano e sostenevano la guerra. Yahveh del Vecchio Testamento è un primo esempio: prometteva al suo Popolo Eletto il dominio sulle piante, sulla vita animale e sulle altre genti che Lui stesso incoraggiava a invadere e conquistare. La Cristianità ha approfondito questa divisione, stabilendo la dualità tra spirito e materia, quest'ultima identificata nella carne, nella natura, nella donna, e nei commerci sessuali con il diavolo e le forze diaboliche. Dio era maschio – incontaminato dal processo della nascita, dal nutrire, dalla crescita, dalle mestruazioni e dal decadimento della carne. Era rimosso da questo mondo nel regno trascendente dello spirito .. da qualche altra parte. In tal modo la bontà e i veri valori sono stati distolti dalla natura e dal mondo.

Così scriveva Engels: "La Religione è essenzialmente lo svuotamento dell'uomo e della natura di tutti i contenuti e il trasferimento di questi contenuti al fantasma di un Dio distante, che talvolta concede la grazia e acconsente che qualcosa della sua abbondanza arrivi al genere umano e alla natura." La rimozione del contenuto e del valore è servita come base per lo sfruttamento della natura. La storica Lynn White afferma che "gli spiriti negli oggetti della natura, che prima avevano protetto la natura dall'uomo, evaporarono" sotto l'influenza della Cristianità, "e il monopolio dell'uomo sullo spirito in questo mondo fu confermato e le vecchie limitazioni allo sfruttamento della natura si sgretolarono. " I boschi e le foreste non furono più sacri. Il concetto di bosco sacro, dello spirito incarnato nella natura cominciò a essere considerato idolatria. Ma quando la natura è svuotata di spirito, le foreste e gli alberi diventano semplicemente legno, qualcosa da misurare in centimetri cubi, valutato sulla base della redditività e non per il suo esserci, la sua bellezza o anche per la sua parte in un ecosistema più ampio. La rimozione del contenuto dagli essere umani ha consentito la formazione di relazioni di potere in cui gli esseri umani possono essere sfruttati. Il valore inerente, l'umano, è riservato a certe classi, razze, al sesso maschile; quindi il loro "potere su" gli altri è legittimato. L'immaginario maschile di Dio autentica gli uomini come portatori dell'umano e legittima l'uomo a dominare. Il Dio bianco, l'identificazione del buono con la luce e del demonio con l'oscurità, identifica il bianco come il portatore di umanità e legittima la supremazia dei bianchi su quelli di colore. Anche se non crediamo più letteralmente in un Dio bianco e maschio, le istituzioni della società incarnano ancora la sua immagine nelle loro stesse strutture. Le donne e la gente di colore non sono presenti agli alti livelli delle gerarchie che gestiscono il "potere su". La nostra storia, la nostra presenza può essere cancella, ignorata, considerata insignificante. Il contenuto della cultura è la storia e l'esperienza degli uomini bianchi di classe elevata. La sofferenza di tutti coloro che sono visti come altri - i poveri, le classi operaie, le lesbiche e i gay, i disabili, quelli etichettati come malati mentali, l'arcobaleno delle razze, delle religioni e dei diversi patrimoni etnici, tutte le donne, ma specialmente quelle che non rientrano nei ruoli culturali definiti - non è solo quella della discriminazione diretta, è la pena di essere negati ancora e ancora. E' la pena di sapere che le nostre preoccupazioni non saranno considerate fino a quando noi stessi non le solleveremo e anche allora saranno viste come periferiche e non centrali, alla cultura, all'arte, alla politica.

* * *
Noi stesse dubitiamo del nostro contenuto, dubitiamo delle prove dei nostri sensi e delle lezioni della nostra esperienza. Vediamo le nostre motivazioni e i nostri desideri come inerentemente caotici e distruttivi, bisognosi di repressione e controllo, proprio come vediamo la natura come una forza selvaggia e caotica, che necessita di un ordine imposto dagli esseri umani.

Nel libro La Morte della Natura, Carolyn Merchant ricostruisce passo dopo passo il modo in cui la scienza moderna e i bisogni economici del capitalismo nei secoli XVI e XVII spostarono la "metafora normativa" del mondo da quella di "organismo vivente" a quella di "macchina senza vita". Tale spostamento di prospettiva, accompagnato e aiutato dalla persecuzione delle streghe, permise uno sfruttamento della natura su una scala mai vista prima…La metafora della "macchina", del mondo visto come di un agglomerato di parti isolate non viventi e che si muovono ciascuna per sé è cresciuta in un contesto cristiano in cui divinità e spirito erano stati già rimossi dalla materia. E la scienza moderna ha dato il colpo finale allo spirito quando ha proclamato la morte di Dio dopo che aveva risucchiato tutta la vita dal mondo. Non è rimasto più nulla, se non cadaveri da discarica e le strutture gerarchiche delle nostre istituzioni – Chiesa, esercito, governo, corporations – tutte incarnazioni del potete autoritario, tutte conformate all'immagine del Dio Patriarcale con le sue truppe subordinate di angeli, impegnati in una guerra perpetua contro il Demonio Patriarcale.
Non ci vediamo più come esseri di seppur dubbia dignità, come difettose immagini di Dio, ci immaginiamo secondo la metafora della macchina come computer difettosi con programmi imperfetti nell'infanzia. Siamo nel mondo vuoto descritto fino alla nausea dall'arte, letteratura e musica del ventesimo secolo, da Sartre ai Sex Pistols. In un mondo vuoto, ci fidiamo solo di quello che può essere misurato, contato, acquisito. Il principio organizzatore della società diventa ciò che Marcuse ha definito il principio di prestazione, la società è stratificata secondo le prestazioni economiche dei suoi membri. Il contenuto è rimosso dal lavoro, che non è organizzato secondo la sua utilità o il suo vero valore, ma secondo l'abilità di creare profitti. Coloro che effettivamente producono prodotti o offrono servizi sono meno remunerati di coloro che sono impegnati nel gestire o contare questa produzione o stimolare falsi bisogni. Ci viene detto ad esempio nelle pagine dei giornali economici che il Vice Presidente di una azienda petrolifera nega di far parte del business che fornisce combustibile ed energia agli Americani e si vanta di essere nel business del profitto per i propri investitori. La scienza e la tecnologia, basate su principi di isolamento e dominazione della natura, producono raccolti e legna usando pesticidi e erbicidi che causano difetti alla nascita, danni ai nervi e cancro quando si infiltrano nei nostri cibi e nelle forniture d'acqua. Reclamando un ordine superiore di razionalità, i tecnologi costruiscono reattori nucleari che producono scorie che rimangono dannose per un quarto di milione di anni e mettono queste scorie in contenitori che durano dai trenta ai cinquanta anni. L'alienazione permea il nostro sistema educativo, con le sue discipline separate e isolate. L'alienazione determina la nostra comprensione della mente umana e le capacità della coscienza, la nostra psicologia. Freud vedeva gli istinti umani e la libido come forze essenzialmente pericolose, caotiche e in conflitto con il "principio di realtà" dell'ego. I comportamentalisti ci assicurano che siamo solo ciò che può essere misurato – solo comportamenti e schemi di stimolo e risposta. Jung ha sostituito un Dio trascendente con un set di archetipi trascendenti, un piccolo miglioramento, ma che ancora ci lascia intrappolate in stereotipi e rigidi ruoli sessuali. La sessualità, sotto il dominio di Dio Padre è identificata con il suo Opposto - con la natura, la donna, la vita, la morte, la decadenza - tutte quelle forze che minacciano l'astrazione incontaminata di Dio e sono quindi considerate peccato. Nel mondo vuoto della macchina, quando anche le strutture delle religioni decadono, il sesso diventa un'altra arena della prestazione, un'altra merce da acquistare e vendere. L'erotico diventa pornografico; le donne sono viste come oggetti vuoti di valore ad eccezione di quello per cui possono essere usate. L'arena sessuale diventa luogo di dominio, carico di rabbia, paura e violenza. E così noi viviamo le nostre vite sentendoci senza potere e inautentiche, sentendo che le persone reali sono da qualche altra parte, che i personaggi delle telenovelas o le conversazioni nei programmi televisivi serali sono più reali che la gente e le conversazioni delle nostre vite. Crediamo che le star del cinema, le rock star, la gente sui giornali vivano la verità e il dramma del nostro tempo, mentre noi esistiamo come ombre e le nostre uniche vite, le nostre perdite, le nostre passioni che non possono venir contate o misurate, non sono approvate o classificate o vendute con uno sconto, non crediamo che siano i veri valori del mondo. L'alienazione permea la nostra società così fortemente che sembra essa stessa essersi fatta coscienza. Anche il linguaggio di altre possibilità scompare o viene deliberatamente distorto. Eppure un'altra forma di coscienza è ancora possibile. In effetti esiste, anche nell'occidente, da tempi antichi, sepolta sotto ai diversi strati di diverse culture ed è sopravvissuta fino a qui. Questa è la coscienza che io chiamo immanenza - la consapevolezza del mondo e che tutto in esso è vivo, dinamico, interdipendente e infuso di energie mobili: una creatura vivente, una danza che si intreccia. La Dea può essere vista come un simbolo, la metafora normativa dell'immanenza. Rappresenta il divino incarnato nella natura, negli esseri umani, nella carne.La Dea non è in una immagine, ma in diverse – una costellazione di forme e associazioni – terra, aria, fuoco, acqua, luna e stelle, sole fiore e seme, salice e melo, nero, rosso, bianco, Giovane Madre e Vecchia Saggia. Tra i suoi aspetti include il maschile: egli è figlio e consorte, cervo e toro, grano e mietitore, luce e oscurità. E comunque la femminilità della Dea è primariamente non denigrativa del maschio, perché rappresenta la possibilità di portare la vita nel mondo, di dare valore al mondo. La Dea, la Madre come simbolo di quel valore, ci dice che il monto stesso è il contenuto del mondo, il suo vero valore, il suo cuore, la sua anima. Storicamente, le culture centrate su Dee e Dèi incarnati nella natura, stanno alla radice di tutte le successive culture patriarcali. Le immagini della Dea sono le prime immagini di culto conosciute, a partire dai siti paleolitici. Gli inizi dell'agricoltura, della tessitura, della ceramica, della scrittura, delle costruzioni, delle fondazioni delle città – tutte le arti e le scienze sulle quali si sono poi sviluppate le "civiltà" – ebbero inizio nelle culture della Dea. Quando il patriarcato divenne la forza di dominio nella cultura occidentale, permanenze della religione e delle culture basate sull'immanenza furono preservate dai pagani (dal latino paganus, rustico o abitante delle campagne), negli usi e costumi del folclore, nelle tradizioni esoteriche e nelle congreghe delle streghe. Le culture dei Nativi Americani e delle tribù in Africa, Asia e Polinesia erano anch'esse basate su una visione del mondo immanente, che vedeva lo spirito e il potere di trasformazione personificati nel mondo naturale. Ironicamente, con l'avanzamento della scienza e della tecnologia alienate, proprio esse hanno iniziato a riportarci una consapevolezza dell'immanenza. La fisica moderna non parla più di atomi separati, divisi, di materia morta ma di onde di energia, di probabilità, di modelli che cambiano quando sono osservati; riconosce quello che Sciamani e Streghe hanno da sempre saputo: che la materia e l'energia non sono forze separate, ma forze della stessa sostanza.

L'immagine della Dea colpisce alla radici l'alienazione. Il vero valore non può essere trovato in qualche lontano paradiso, in qualche astratto mondo ultraterreno, ma nei corpi femminili e nella loro prole, maschi o femmine, nella natura e nel mondo. La natura ha un suo ordine, di cui gli esseri umani sono parte. La natura umana, i bisogni, le motivazioni e i desideri non sono impulsi pericolosi che hanno bisogno di repressione e controllo, ma sono l'espressione di un ordine inerente all'essere. L'evidenza dei nostri sensi e la nostra esperienza sono l'evidenza del divino – l'energia in movimento che unisce tutti gli esseri. Per le donne, il simbolo della Dea è profondamente liberante, restaura un senso di autorità e di potere nel corpo femminile e nei processi della vita: nascita, crescita, il far l'amore, l'invecchiamento e la morte. Nelle culture occidentali l'associazione di donne e natura è stato usata per svalutare entrambe. L'immagine della Dea immanente conferisce sia alle donne che alla natura un valore più alto. Allo stesso modo, la cultura non può più essere vista come qualcosa di lontano o opposto alla natura. La cultura è un risultato della natura – un prodotto dell'essere umano che è parte del mondo naturale. La Dea della natura è anche la musa, l'ispirazione della cultura e le donne sono a pieno titolo partecipi alla creazione e alla promozione di cultura, arte, letteratura e scienza. La Dea come madre personifica la creatività e tutti i processi della nostra vita, il nostro diritto di scegliere coscientemente come, dove e cosa vogliamo creare. L'immagine femminile della divinità in nessun modo fornisce una giustificazione dell'oppressione degli uomini. La femmina che dà la vita al maschio include il maschio in un modo in cui le divinità maschili non possono includere il femminile. La dea dà la nascita a un panteon che è inclusivo, non esclusivo. Non è un Dio geloso. E' spesso vista anche nel suo aspetto maschile – figlio o consorte. Nella stregoneria l'aspetto maschile si manifesta come il Dio con le corna, il dio della vita animale, dei sentimenti e dell'energia vitale. Manifestandosi in esseri umani e nella natura, la Dea e il Dio restituiscono il contenuto e il valore alla natura umana, alle pulsioni, ai desideri e alle emozioni. Dire che qualcosa è sacro è dire che noi rispettiamo, curiamo e diamo valore ad esso per il suo essere. Quando il mondo è visto come fatto di esseri di valore, viventi, dinamici, interconnessi, il potere non può essere "visto come qualcosa che la gente ha – i re, gli zar, i generali che tengono il potere come si tiene un coltello"! Il potere immanente, il potere-da-dentro, non è qualcosa che abbiamo ma qualcosa che possiamo fare. Noi possiamo scegliere di cooperare o di ritirarci dalla cooperazione con qualsiasi sistema. Il potere delle relazioni e delle istituzioni dell'immanenza deve sostenere e incoraggiare l'abilità degli individui di dare forma alle scelte e alle decisioni che li toccano. E quelle scelte devono riconoscere l'interconnessione degli individui in una comunità di esseri e le risorse che hanno un valore inerente. E' una sfida cercare di creare la visione di una società basata su questo principio. Le implicazioni sono radicali e vanno lontano, perché tutto le istituzioni dell'attuale società, da quelle più oppressive a quelle più benevole, sono basate sull'autorità che alcuni individui detengono e che consente loro di controllare gli altri.


* * *Abbiamo ragione di sperare. Le forze della distruzione sembrano grandi, ma contro di queste abbiamo il nostro potere di scegliere, la nostra volontà umana e l'immaginazione, il coraggio, le nostre passioni, la nostra volontà di agire e amare. Non siamo, davvero, stranieri in questo mondo. Siamo parte del cerchio. Quanto piantiamo, quando tessiamo, quando scriviamo, quando facciamo un figlio, quando organizziamo, quando guariamo, quando corriamo nel parco mentre le sequoie traspirano un velo di nebbia, quando facciamo quello che abbiamo paura di fare, noi non siamo separati. Noi siamo del mondo e l'uno dell'altra e il potere dentro di noi è grande, se non invincibile. Anche se siamo feriti, possiamo guarire; anche se ognuno di noi può essere distrutto, dentro tutti noi c'è il potere del rinnovamento. E c'è ancora tempo di scegliere questo potere.

(Estratto dall'Introduzione a "Dreaming the Dark: Magic, Sex and
Politics". Tradotto da Anonima Network Bologna, Giugno 2008)

martedì 17 giugno 2008

Il Divo


Il Divo è Toni Servillo, attore strepitoso che perde la sua faccia e la sua voce dietro la maschera del Divo vero, il Divo Giulio.

Andreotti è una persona o una caricatura mefistofelica del Potere?

Ogni tanto appare sullo schermo come una persona, uno che si riempie di aghi d’agopuntura per sconfiggere le sue croniche emicranie e che guarda insieme alla moglie Renato Zero in tv che canta “I migliori anni della nostra vita”. Ma poi appare all’improvviso nell’ombra delle stanze come Nosferatu e sì, vien da chiedersi cosa gli sia rimasto d’umano.

Andreotti è un personaggio, una metafora, una caricatura: fa sorridere con le sue battute lapidarie e per via della figura macchiettistica. Ma è inquietante per ciò che nasconde, per le manovre sotterranee, per la partecipazione attiva all’inquietante realtà di un Paese opaco e segnato dai lutti, dove le verità pubbliche vengono solo sussurrate e poi nascoste sotto il tappeto dell’omertà, del tempo, del privilegio particolare. Una figura come questa, non la si poteva inventare.

Il regista Paolo Sorrentino segue la strada di Rosi, Petri e Ferrara, ma il suo stile è adeguato ai tempi, non vibra d’indignazione, non offre soluzioni e non racconta nemmeno la realtà così com’è: sceglie di concentrarsi su un personaggio verso cui si può solo alludere e l’esercizio di stile è provare a immaginare cosa nasconda. Così tutto si presenta evocativo, mai chiaro e ciò che al contrario appare chiarissimo, per contrasto sconfina nel grottesco. La visuale non è documentaristica né narrativa, ma immaginifica, con sprazzi di fumetto e arte grafica: basta guardare come sfilano quei loschi figuri della corrente andreottiana, in pieno stile Quentin Tarantino, padroni della scena, indistruttibili: da “Lo Squalo” a “Sua Sanità”, da Salvo Lima a Cirino Pomicino, dipinto come un brillante festaiolo che inciucia con chiunque e che, se gli gira, si mette a correre per poi scivolare sul lucido pavimento di marmo dei Palazzi.

Cadranno tutti, tranne Lui.

C’è una Roma oscura e un po’ perversa, che Andreotti percorre seguito dalla scorta, camminando lentamente e leggendo sui muri le scritte che lo riguardano e che di solito non sono benevole né acclamanti. Egli riesce a farsi scivolare addosso mezzo secolo di storia e di morti con la flemma di chi sa ma non dice, di chi sente ma non parla, di chi archivia tutto in uno stanzino buio e da cui tutti devono guardarsi, sempre circondato da sospetti ma esente da danni, sopravvive a sé stesso e anche a tutti i suoi nemici, amici e affiliati. Sopra tutto, così dice, la volontà di dio.

Egli è sempre rigido, immutabile. Affronta allo stesso modo i momenti di gloria, le feste scatenate dei salotti romani, la delusione e la frustrazione per non essere stato eletto Presidente della Repubblica e perfino il processo che lo vede indagato per collusione con la mafia. Il nostro sembra sapere che ne uscirà sempre indenne e uguale a sé stesso. Ma questo film prova a spiegarci la differenza fondamentale fra lui, che è sopravvissuto, e tutti gli altri, che sono caduti, come Moro, Falcone e Borsellino, Pecorelli: loro cercavano la verità, erano fissati con la verità, e la verità a quanto pare in questo paese è sempre meglio occultarla e non stuzzicarla perché non porta mai a niente di buono.

E’ un’opera che gioca brillantemente su contrasti tutti nostrani e cambi di registro improvvisi, l’orrore delle bombe e delle sparatorie è amplificato dalla musica elettronica, gli eventi tragici come l’assassinio di Moro compaiono dal buio della memoria e degli anni e si palesano dietro gli angoli bui, in attesa. Il regista immagina che Andreotti sia perseguitato da un unico fantasma, proprio quello del suo compagno di partito Aldo Moro, il quale gli appare mentre si guarda allo specchio e la cui voce, che legge terribili lettere d’accusa nei suoi confronti dal covo delle Br, continua a rimbombare.

domenica 25 maggio 2008

Oltre il parto, la beffa


Ho guardato per 10 minuti "Otto e mezzo", c'era la Ritanna Armeni che si gasava per via di questo libro sulla paura del parto, presente l'autrice tale Malvagna, poi anche la giornalista delle colonnine femminili che vorrebbero essere ironiche e à la page Annalena Benini, e il co-conduttore Lanfranco Pace, collaboratore de "Il Foglio" proprio come la suddetta Benini. Perlomeno, Ferrara ha avuto il buon gusto di eclissarsi.
Diciamo che il libro in sè sarebbe anche meritorio, denuncia infatti la medicalizzazione eccessiva del parto in Occidente e in Italia soprattutto, patria del cesareo facile e non motivato da condizioni mediche quanto, spesso, dalle esigenze ospedaliere della serie "famo presto". Bene, come è stata affrontata la discussione? La Benini non ho capito cosa ci stava a fare. Forse pensava che le avrebbero lasciato scrivere una rubrichetta ironica e à la page anche dallo schermo. La Armeni era ben contenta dell'argomento, ma purtroppo era obbligata a tirare in mezzo pure il tizio che conduceva con lei, che ovviamente, piuttosto che pensare di aver qualcosa da imparare sull'argomento, si agitava sommamente a disagio e si sentiva in obbligo di intervenire a sproposito con provocazioni di cui non si sentiva il bisogno. Io ne ho sentite un paio, prima di cambiar canale inorridita. E a questo punto mi sono beccata la Leosini che intervistava un malato di mente, per fortuna al gabbio come è d'uopo, con metà viso e cranio completamente rasati e l'altra metà con capelli e folta barba, da brivido. Costui era nientemeno che il "collezionista di anoressiche", fate voi.

Ma torniamo a Lanfranco Pace e al parto. Dicevo, forse hai qualcosa da imparare no? Forse è un argomento su cui non sai granchè, scusami se mi permetto. Ma no. L'ometto spocchioso si rivela subito. La Malvagna denuncia che la donna è stata defraudata di un ruolo, resa insicura da decenni di prostrazione al Verbo della medicina ufficiale (maschile, ça va sans dire), trattata come una demente che va guidata dall' inizio alla fine e che non prenda mai iniziative o avanzi richieste, per carità, perchè è una povera ignorante? La Malvagna afferma che il corpo della donna viene svilito da una pratica medica istituzionalizzata che non la mette in condizione di gestire il travaglio e il parto con la massima serenità possibile, confidando nelle risorse del suo corpo fisiologicamente strutturato per assolvere al compito? E che l'eccessivo numero di cesarei nel nostro paese (40% dati alla mano, contro un 15% che l'Oms ritiene cifra limite) è figlio di questa mentalità di svilimento della donna e di controllo della sua fisicità? Bene, allora con cosa salta fuori l'ometto in questione, della serie coda di paglia lunga un chilometro (sei un medico? Ginecologo? Pratichi regolarmente cesarei? Parrebbe di no, se sei qui a blaterare, e strapagato per giunta): "Ma allora sono le donne stesse che hanno questa mentalità, perchè loro vogliono il cesareo per non soffrire le doglie!" Bingo!

Il nostro, che si agitava sulla sedia come in preda a emorroidi, ha trovato la frasetta che gli risolve il problema di disagio che la discussione gli provoca (sottinteso: donne, è una cosa sporca e imbarazzante parlare di parto di fronte a un uomo, oh! Non scherziamo! Sono qui, ma vorrei essere lontano un chilometro, la cosa non mi riguarda affatto), assolvendolo da qualsiasi questione e retropensiero che lui, in quanto uomo, ha già cominciato a macinare:

Qualcosa devo pur dire, ma cosa? Come uscirne? Non ho ascoltato una parola.
Accusare le donne, e in fretta. Approfondire? Ammettere i miei limiti di comprensione dell'argomento? Non sia mai! Sono o non sono un uomo? Avrà pensato il nostro, mentre si grattava il culo.

Invano l'autrice del libro cerca di fargli comprendere che il cesareo è un'operazione chirurgica vera e propria, con tutti i rischi che comporta, che spesso viene anche praticata senza chiedere il consenso, che non si tratta propriamente di una passeggiata di salute... Che dopo il cesareo passi anche due o tre giorni a letto con una ferita che duole da far paura (e questo l'aggiungo io, viste le esperienze di amiche) e nessuna è così imbecille da chiederlo al medico, se non è il medico stesso a presentartelo come alternativa facile e sicura. Ma no. L'omino si sgrava sempre dell'imbarazzo rigirando la frittata, è nella sua natura di genere e alcuni sono dotati di questa capacità in modo particolare, Lanfranco Pace docet.

Difatti questo è ancora niente. Mi sono persa via per un paio di minuti dietro le circonlocuzioni della mia mente e quando ho riportato l'attenzione sulla trasmissione, il nostro, con un salto iperbolico raccapricciante ma di notevole presa, che in realtà non sono ancora riuscita a spiegarmi, stava disquisendo amabilmente sulla EROTICITA' della gravidanza.
Praticamente di quanto a lui facciano sangue le donne con la pancia, mettendola giù del tipo "il tasso erotico della donna in gravidanza". Il tasso erotico?!? Cioè, tu sei un depravato che si arrapa a guardare le donne incinte, ma basta girare la frittata, et voilà, sono le donne incinte ad avere un alto tasso erotico! Io ho come l'impressione che le donne incinte abbiano altro a cui pensare testa di minchia.

Bè, dopo tanta tristezza e costernazione, giro sul collezionista di anoressiche dalla faccia doppia. Guardo lui, guardo la Leosini. Franca. Oh Franca. Che ce tocca de vedè, che ce tocca de sentì.
E il peggio forse deve ancora venire.

lunedì 12 maggio 2008

R - Evolution!


Una sera ero in un locale, piuttosto divertita e anche ubriaca e ho parlato 10 minuti con una ragazza sconosciuta. Non so perchè parlassimo e come siamo entrate in argomento: so che lei, biascicando, ha detto qualcosa del tipo che oggi i giovani stanno messi male perchè sono soli, perchè non c'è più niente di esterno a cui credere o a cui aggrapparsi, perchè non ci sono più partiti, né ideologie, né valori in cui credere. Niente di esterno alla nostra coscienza, insomma.
Le ho dato ragione, ma ho anche aggiunto: non la vedo come una cosa così negativa. Poi il discorso non l'abbiamo potuto approfondire e probabilmente non eravamo nemmeno in grado di farlo, non l'ho più neanche vista né mi ricordo la sua faccia ma ecco che mi ritrovo qui a pensare a queste poche parole che ci siamo scambiate. Probabilmente perchè queste riflessioni sono ormai improcrastinabili, visto l'andazzo.
Ora, è una gran disgrazia apparentemente dire che non ci sono più ideologie né partiti, ma se invece non li avessimo "persi" quanto piuttosto "superati"?
Non ho bisogno di qualcuno che mi detti la linea: me la detto da me, grazie.
Questo probabilmente getta nel panico la massa, che, tirata per la giacchetta da miriadi di stimoli esterni, senza nessuno che dica chiaramente cosa fare nè in cui poter credere ciecamente, può reagire in modi differenti:

a) va fuori di melone e diventa molesto e/o pericoloso;
b) inizia a far cazzate senza sugo per poi gettare il biasimo della sua sconsideratezza verso le persone che ha intorno;
c) si aggrappa con le unghie e coi denti a qualche residuato di pseudo ideologia e/o religione fuori tempo massimo, sfrantumando tutti a riguardo;
d) finalmente si evolve e costruisce la propria coscienza e spiritualità basandosi sulla propria esperienza, curiosità e empatia, o almeno provarci.

Quanto è difficile il punto d?
In termini di costi per la collettività, è sicuramente il più ragionevole e fruttifero e fin qui...
C'è una cosa di cui tener conto, è che si tratta dell'unica soluzione possibile se ci teniamo in primo luogo alla pelle. Il discorso è molto semplice: non c'è nessuna entità, pubblica o privata che sia, che agisca per il nostro bene, con l'attitudine del "buon padre di famiglia" come si suol dire, per cui o ci svegliamo o sono cazzi. Non c'è bisogno di andar lontano, basta pensare a quello che mangiamo o consumiamo o ci spalmiamo addosso. Non c'è una sola ditta pubblicizzata in televisione che si preoccupi della nostra salute e del benessere del pianeta, e che non cerchi di spacciarci roba cancerogena nel peggiore dei casi, roba che non vale la metà del prezzo a cui ce la propinano nel migliore.
Ora, quale scusa abbiamo del nostro malessere, una volta realizzato questo?
Non è il caso di informarsi e cominciare a fare delle scelte per conto proprio?
Io al momento sono in fissa con la medicina naturale e la cosmesi bio eco, perchè tramite alcuni siti intenet che si occupano della questione (come www.biodizionario.it e www.saicosatispalmi.org) ho imparato a leggere gli Inci, ossia l'elenco degli ingredienzi cosmetici. Ecco che mi si è aperto un mondo in cui tutto quello che mi sono spalmata negli anni credendo di farlo per il mio benessere e, ovviamente, pagato fior di soldi, si è rivelato essere nella sua quasi totalità un concentrato di derivati del petrolio - siliconi - conservanti potenzialmente cancerogeni - cessori di formaldeide ecc. Nel migliore dei casi, agglomerati di acqua fresca profumata e qualche attivo di bassissimo costo spacciato a peso d'oro.
Quanto mi diverto ora, con l'alchimia del crearmi da me vere e proprie pozioni di bellezza, a scegliere solo prodotti sicuri (e spesso più economici!) a utilizzare oli vegetali di uso comune per la bellezza, addizionati a principi attivi derivati dalla natura, ossia direttamente da farine, frutta, oli essenziali? Per me è una manna dal cielo a livello sensoriale e anche energetico, perchè sto applicando una manualità creativa laddove sono sempre stata una tipa cerebrale al massimo, senza nessun talento di tipo pratico. Una benedizione.
Questo è un solo un esempio, che può essere applicato a tutti gli ambiti.

Forse è la prima volta nella storia che abbiamo davvero questa libertà di poter agire e crearci una nostra scala di valori non conformisti, proprio perchè non ci sono nè leader nè gruppi riconosciuti, nè idee preconfezionate che possano essere appetibili per chiunque sia sano di mente.
E' una sfida favolosa.
Da questa prospettiva, anche le religioni monoteistiche e patriarcali hanno miseramente fallito e non vedo come possano essere credibili (di nuovo, per chiunque sia sano di mente).
Altro esempio personale: sto praticando una riscoperta della Vecchia Religione , di un paganesimo sotteraneo, nascosto e mai vinto che è giunto fino a noi dalle pratiche segrete degli iniziati nei secoli, e che porta alla luce una vera e propria storia parallela del mondo, una storia oscurata dalle pagine imposte dai vincitori che hanno nei secoli cercato di annientarlo con la coercizione che è loro propria. Una spiritualità naturale e magica, che appartiene allo spirito dell'uomo e che non mai stata scalzata fino in fondo dal dogma e dall'imposizione del peccato.
Detto questo, non c'è proprio niente di cui un giovane (e meno giovane) abbia bisogno che non può cercarsi, e ovviamente trovare, da sè e per sè.
Non c'è bisogno di patenti nè soprattutto di riconoscimenti ufficiali esterni a noi stessi.
Ma bisogna cominciare a cercare e incamminarsi sul proprio fottuto Sentiero.
Perchè bisogna sbrigarsi a trovare un proprio centro, perchè presto o tardi arriva qualcuno che mette in funzione la centrifuga e noi ci staremo proprio in mezzo.

lunedì 21 aprile 2008

Horror Vacui


Ieri era il mio compleanno e sono andata a fare bookcrossing all'Umanitaria perchè volevo vedere Alessandro Haber che leggeva Bukowski, poi ho affogato i dispiaceri in una cena cingalese.
Nel frattempo il paese è regredito e i 31 anni mi si attaccano al collo come una scimmia.
Bukowski: che meraviglia.
Uno dei momenti più illuminanti della mia vita è stato quando una tipa di cui ero diventata amica e a cui volevo piacere a tutti i costi perchè molto solare e catalizzatrice, mi restituii dopo appena un paio di giorni un libro di Bukowski che le avevo prestato perchè VOLEVO le piacesse, e mi ero pure spesa per scriverle una dedica che esprimesse fino in fondo ciò che speravo avrebbe condiviso con me leggendo quelle pagine.
"Non riesco a leggerlo" disse "è troppo volgare", massimizzando così l'effetto sminuente nei miei confronti, ossia inquadrandomi nel ruolo di quella con gusti rozzi e meschini mentre lei si elevava sguazzando nell'acqua limpida del Pensiero Nobile. Rimasi malissimo.
Poi pensai: "Ma brutta cretina. E' la vita che è volgare".
Da quel momento realizzai che potevo avere più affinità e attitudini con un vecchio maschilista ubriacone e sporco che però sapeva scrivere, e soprattutto sapeva guardare in pieno l'orrore e la vacuità che caratterizzano buona parte delle umane sorti, tutto ciò che le anime belle fanno finta che non esista o che non le riguardi. Piuttosto che con una di tali anime belle che si compiace tanto del proprio riverbero sugli altri, piccole insignificanti comparse sul proprio palcoscenico.
Come da copione, passata la sbornia, la tipa in questione si rivelò per quel che era, ossia una logorroica senza personalità che si buttava a pesce su quelli che riusciva ad ammaliare, cannibalizzandoli. E non era neppure cattiva: di solito le andava pure male, perchè presto o tardi tutti quanti la abbandonavano miseramente, sfiniti. Come dire, spero che gli anni ti abbiano portato consiglio.

C'è una cosa che mi fa schifo più di tutte ed è la paura, i partiti della paura, la politica della paura, la gente che ha paura. Sto maturando un vero e proprio odio per le sciure spaventate che parlano nascoste dietro le ringhiere dei balconi e se sono certe di essere abbastanza lontane si sfogano della loro vitaccia infame contro di te e il tuo cagnolino che stai portando a spasso e che diventa il loro Nemico Pubblico Numero Uno. Le stesse sciure che ad alta voce sotto la mia finestra dicevano cose raggelanti tutte compiaciute, cose tipo "Ah! signora mia, io sono ben contenta che tra qualche anno non ci sarò più, non invidio proprio i miei figli e nipoti per come vanno le cose!"
E tutto ciò continuando a credersi delle brave signore timorate di dio, pur rendendoci l'aria irrespirabile.
E io che non sono timorata di dio, posso dire che quel mondo in cui lei signora mia non ci sarà più, sarà comunque un mondo che ha fatto un passo avanti.
Le donne mi fanno ancora più incazzare degli uomini imbecilli.

La Destra per me non è un partito o un'ideologia e nemmeno un duce ma è quel modo di pensare che incatena alla paura, che è la paura dell'altro - del diverso - del terrorismo - della recessione - dell' immigrazione - dei cani ai giardini - di quelli che vogliono semplicemente vivere in modo diverso da te senza doverti chiedere il permesso - di quello che cammina dall'altra parte della strada e ti guarda per sbaglio e di sicuro è un poco di buono - della donna troppo emancipata di cui sparlare o da insultare per rimetterla al suo posto - di diventare poveri- di essere fregati da qualcuno più furbo di te e per sollevarsi dall'onta l'unica è fregare a tua volta qualcun altro e soprattutto dell'ommioddio si salvi chi può, ognuno per sé e dio per tutti!

La paura ti fa credere che se non c'è un Mercato - un Dio - uno Stato, non si possa nemmeno pensare a qualcosa di diverso in cui credere, a un modo nuovo per soddisfare i propri bisogni senza che qualcuno venga lì a spiegarti QUALI sono o dovrebbero essere questi bisogni.
Per me la Destra è solo la paura del cambiamento. Sono i dazi, i protezionismi, la conservazione delle abitudini soprattutto mentali. La strenua difesa per evitare che cambi qualcosa che è già cambiato nel profondo mentre tu, frescone, eri impegnato a cazzeggiare.
La Destra si traveste da umana necessità per la sicurezza, il benessere e l'allontanamento coatto di tutto ciò (persone o situazioni) che potrebbe modificare l'esistente appannando certi privilegi anche ingiustificati, a un più attento esame. La Destra per me sono le ville in cui sono asserragliati i ricchi, sono le prigioni, sono le feste senz'anima ma solo sesso droga & latinoamericana, sono le maschere indossate all'orgia di Eyes Wide Shut, è un po' tutto ciò che mi fa schifo, diciamo.
Ma c'è una cosa che va riconosciuta alla Destra è che la Destra è. Esiste.
Io so anche cosa sia la Sinistra, solo che in giro non ce la vedo proprio. Non c'è.
Però ogni tanto un refolo di vento mi passa proprio sotto al naso e ne distinguo subito l'odore meraviglioso. Ci sono certi spazi e certe persone e certi atteggiamenti e certe serate che in qualche modo continuano a esistere e reclamano la loro prepotente presenza e allora quasi quasi sembra che, in fondo, anche 31 anni non sono poi così male e neppure lo sono state queste elezioni, alla fine, perché il tipo del seggio prima di darmi la scheda del Senato ha voluto controllare il mio anno di nascita e se non sono soddisfazione queste, signora mia, bè, allora è proprio giunta per te l'ora di schiattare.

sabato 5 aprile 2008

Jan Saudek e Joel Peter Witkin, fino al 27 aprile al Pac di Milano


Questa è una mostra che Nostra Signora Letizia Moratti ha trovato troppo scioccante per i deboli cuori e le deboli menti dei suoi sottoposti, ossia i cittadini milanesi, e non ha voluto che varcasse la soglia di una sede istituzionale come il Palazzo Reale. Solo la testardaggine del Vittorio Sgarbi nazionale, che per fortuna quando si tratta di arte non è completamente rintronato, ha permesso che la mostra avesse luogo in una sede più defilata e dedita alle sperimentazioni contemporanee per vocazione, come il Pac. La mia speranza è che la mostra registri un afflusso impressionante di visitatori, perlomeno per far apparire un lieve rossore e un voltar del capo pieno di vergogna alla sciura Moratti Vien Dal Mare (o giù dai monti).

Certo, i due artisti sono crudi e noi apposta andiamo per vedere. Non c’è niente di zuccheroso nella morte, nella deformità, nel cinismo e nella sessualità esplicita: ragione in più per esserci e per vedere finalmente fin dove l'arte può spingersi e cosa lo spirito umano può sopportare, lontano dai circuiti del buonismo di facciata, della bellezza levigata e del marketing politicamente corretto. Questo è un altro territorio e noi vogliamo il diritto di poterlo esplorare.

Ho scoperto Saudek tanti anni fa, a Praga. Ho ammirato da subito la sua cifra distintiva, i tenui colori pastello che dipingono il grigio dello scantinato che è il suo set d'elezione, un muro grigio scrostato sulla quale inscenare una realtà denudata, goffa, viziosa, vanitosa, esaltata. Dalla finestra della sua cantina si può vedere qualsiasi cosa: un cimitero, la luna, un altro muro cupo, a seconda del proprio umore. Saudek mette in scena la realtà con l'inganno e la finzione. Le sue immagini stampate e colorate a mano recano titoli scritti a penna e retrodatati di un secolo. “Il maestro di danza” è Saudek stesso che impartisce lezioni alla sua allieva completamente nudo. “La bella ragazza che amavo” ha parte del corpo deforme, ma si compiace del suo bel viso allo specchio. “La signora nel palco”è una contorsionista nuda con le pubenda in primo piano, ma che osserva compita attraverso le lenti di un binocolo da teatro. Saudek sfida il tempo, con le datazioni fasulle ma anche con la serie “Dieci anni nella vita di Veronika”. E' dotato di ironia cinica: “La storia del bere nella Repubblica Ceca” è data da una serie di fotogrammi che vedono una nana e una donna calva agghindate e serie all'inizio e via via sempre più discinte e ubriache, fino a crollare al suolo nude alla fine.


Witkin è una novità per me, ma è chiaro da subito che è un'artista della stessa pasta di Saudek, anche se flirta più con la morte che con il sesso. Ma il senso del grottesco decisamente li accomuna e anche una certa allegra crudeltà visiva. Fotografare i morti facendoli recitare come fossero vivi denota, in fin dei conti, una tranquilla meditazione sulla morte, come se non fosse niente di straordinario, e così infatti è, ma per l'uomo moderno a quanto pare è una vera rivoluzione ragionare di questa verità. I suoi soggetti sono invenzioni dense di dettagli scenografici misteriosi, che richiamano una sorta di alchimia simbolica. Usa spesso un bianco e nero morbido, virato al grigio e anche la tecnica del collage, graffiando e incidendo le lastre. “Catina” è un aggraziato scheletro di sposa, coloratissimo, con tanto di velo e bouquet, ma che tiene imprigionato un piccione nel suo sterno. L'orrore di “Leda”, un corpo deforme circondato da infanti buttati a terra come stracci vecchi, è mitigato dall'apparizione di uno splendido cigno in primo piano e da una luce sovrannaturale che discende dall'alto. Gli still life sono ironici, zeppi di falli e altri dettagli anatomici, come un seno appoggiato su un piatto in mezzo alla frutta. L'America di “The raft of G.W. Bush” (2004) se ne va a spasso disperata sulle onde impervie dopo il naufragio, sulla stessa “Zattera della Medusa” che dipinse Géricault (1819). Come a dire che tutta l'umanità sta sempre su una zattera in mezzo all'Oceano, ondivaga.

sabato 23 febbraio 2008

La lunga marcia verso l'obnubilamento


Non è più tempo di acquiescenza, o non lo è mai stato. E' ora di mettere i puntini sulle i, per così dire. Qualche giorno fa ho toccato con mano cosa significhi parlare tra sordi, che è un qualcosa che accade praticamente sempre quando si ha a che fare con le questioni religiose e le persone che credono al Verbo, in qualsiasi accezione. Ho frequentato un corso dove ho conosciuto una ragazza senegalese musulmana, senza velo come quasi tutte le senegalesi, sboccata e simpatica oltre ogni dire. Bene, le è stato chiesto da un'altra tipa se avesse a casa il Corano solo in lingua originale o se fossero ammesse traduzioni. Mi sono intromessa affermando che le traduzioni ovviamente esistevano, tanto che io ne posseggo una copia in italiano, in edizione economica. La ragazza senegalese si è voltata verso di me con aria allarmata, affermando che io non potevo accostarmi al Corano senza essermi astenuta dal sesso e fatto le abluzioni di rito! E per "accostarsi", intendeva letteralmente prenderlo in mano e leggerlo. Poco prima che il docente, purtroppo, ci interrompesse, ha buttato lì che anche "noi", di sicuro, prendevamo precauzioni simili riguardo la Bibbia. Cosa avrei potuto risponderle? Per me non esistono testi sacri. Un libro è solo un libro, per quanto possa contenere sagge parabole e esperienze mistiche. La verità non è "rivelata" da nessuna parte e se vuoi scoprirla sta a te trovartela da solo. Come un uomo è solo un uomo, per quanto possa essere saggio e persino illuminato, non sarà mai "santo". Sarò pignola, ma dò una grande importanza alle parole, perchè costituiscono le strutture del pensiero. Ora, tu ovviamente puoi fare quello che vuoi quando ti avvicini a un libro che consideri sacro, ma come puoi credere che CHIUNQUE debba seguire le tue pratiche, anche se non crede e vuol leggere il testo per semplice curiosità intellettuale? Quale sarebbe il pericolo nascosto dietro il mio "blasfemo" approccio di lettura? Mi sento molto gentile e moderata, nell'affermare che questa è una forma superstiziosa di religiosità. C'è un rispetto per i simboli che è sacrosanto e c'è un'ossessione per i simboli che è tutta un'altra cosa, come dimostrano ad esempio le diatribe sul crocifisso che dovrebbe campeggiare d'ufficio dentro scuole e tribunali, non si sa bene perchè. Non sono di quelle tizie politically correct che dicono che dovrebbero essere esposti tutti i simboli di tutte le religioni e peace and love, al contrario, se per qualche strano motivo che esula dalla mia comprensione non puoi vivere senza simboli te li porti da casa e non aspetti che lo STATO LAICO li esponga per farti un piacere, ma vabbè, che lo dico a fare. Si potrebbe al limite fare una deroga per quanto riguarda il crocifisso negli ospedali, luogo di malattia e morte dove il simbolo può esercitare un potere benefico sulle menti devote e annebbiate dalla sofferenza, anche se, come sappiamo, nei nostri ospedali ci sono persino le cappelle già pronte all'uso, per il ricovero dell'anima dei sofferenti e dei loro cari, per cui tale deroga è a tutti gli effetti da considerarsi un sovrappiù dovuto a magnanimità verso le umane, tristi sorti. Lo stato laico sarebbe poi quello stesso che, sulla base di una soffiata anonima di un tizio piuttosto morboso e soprattutto a disagio con l'italiano, invia una task force di ben sette poliziotti a interrogare una pericolosissima donna in ospedale, a seguito di un aborto terapeutico e a requisire addirittura il feto, il punto è: come può un aborto avvenire illegalmente in un ospedale? Il tizio al telefono ha parlato di mazzette elargite al primario in cambio di un aborto non giustificato? Non risulta. E in realtà quale sarebbe l'aborto non giustificato all'interno dei parametri della 194 (dio la benedica), che prevede la legittimità dell'aborto terapeutico anche in condizione di "semplice" sofferenza psicologica della donna, il che si può tradurre con la frase "tutte le volte che la donna non vuol saperne di partorire un figlio per qualsivoglia motivo - punto".
Ora, menti più acute della mia hanno notato con stupore che, ad eccezione di poche suore laiche e/o femmine che tirano il carro con bonomia nel solco del patriarcato a cui sono completamente assuefatte, i peroratori della crociata anti aborto sono uomini scatenati in sorprendenti dichiarazioni d'amore sconfinato per la blastocisti, di immedesimazione totale con il destino dello zigote e che condividono con l'embrione le stesse domande esistenziali e la filosofia di pensiero. Addirittura, parrebbe sia stato proprio l'embrione il primo a metter loro la pulce nell'orecchio. A tanta passione verso la causa, corrisponde in genere la più totale indifferenza verso i bambini già nati e la sorte delle donne che li partoriscono.
Ci sarebbero molte cose da dire sui tortuosi meccanismi psicologici di costoro, ma lascio la parola all'ottimo Daniele Luttazzi che ebbe modo di affermare, candidamente e succintamente:


"Se gli uomini restassero incinti, potresti avere un aborto anche dal barbiere.
"
Daniele Luttazzi.

E in buona sostanza, per quanto mi riguarda, questo chiude la questione.

martedì 19 febbraio 2008


Ricevo e pubblico per conto de Il Tafanus:
La vendetta dei Papisti/2 (...e la figuraccia della On.(?) Gabriella Carlucci...)
CAPITOLO 1°
Il 21 gennaio era apparso sul blog, ma non sulla newsletter, questo post, che ora merita di essere integrato con qltri due capitoli, di cui siamo venuti a conoscenza grazie alla cortesia di Patrizia T. Ecco il testo del post già pubblicato:
Dal sito del Professore universitario e giornalista Gennaro Carotenuto, http://www.gennarocarotenuto.it/ su segnalazione di Pino Galluccio di altrestorie , apprendiamo che la vendetta dei teo-con è già iniziata. Nel peggiore dei modi. Il Senato blocca la nomina a presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche del fisico Luciano Maiani. La sua colpa? Aver firmato il documento sul papa.
Tempi duri per i laici, ma anche per milioni di cattolici onesti in Italia. Tempi così duri da evocare davvero il processo "onesto e giusto" contro Galileo Galilei. Così duri da evocare le liste di proscrizione dei regimi totalitari. Così duri da paventare che presto tra i requisiti per accedere alla docenza universitaria potrebbe essere necessario un giuramento di fedeltà a Benedetto XVI speculare a quello che Benito Mussolini impose l’8 ottobre del 1931 ai docenti universitari. Un Benedetto XVI che va subito riconosciuto come innocente (ma magari soddisfatto) rispetto alla voglia di fanatismo, alla voglia di talebanizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa voluta innanzitutto dai cosiddetti atei devoti e teocons. In un'Italia dove non si possono condannare i corrotti, questi hanno trovato un nuovo nemico: il laico. Laico come alieno, laico come grillo parlante, come paria in uno stato che ha scelto una versione confessionalista della laicità
Il caso è facilmente riassumibile, ma siccome è una cosa così vergognosa (soprattutto per il parlamento della Repubblica) e insostenibile ne troverete ben poca nozione sui media. Al prestigioso fisico Luciano Maiani non è stata ratificata la nomina a presiedere il CNR proprio perché colpevole di essere tra i firmatari della lettera dei 67, con la quale si riteneva inopportuno l'invito a Joseph Ratzinger per l'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Roma La Sapienza.
Appena pochi giorni fa il fisico romano Luciano Maiani era stato nominato Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Sulla base dei suoi titoli tutti si erano dichiarati soddisfatti. Restava la ratifica del Senato, un proforma da tenersi ovviamente solo sulla base del curriculum scientifico dello studioso. Ma non è andata così: con un dibattito surreale in Senato, la sua nomina non è stata ratificata ed è stata chiesta un'audizione del ministro Fabio Mussi. La colpa di Maiani è apertamente ammessa: ha firmato la lettera dei 67 e quindi sarebbe incompatibile. Il dibattito in Commissione è simbolico dell'Italia di oggi e merita di essere riassunto.
Per il senatore di Forza Italia, Franco Asciutti (per far queste cose si usano apparatnik di seconda fila), alla luce della posizione espressa contro il papa, Maiani sarebbe "incompatibile con un atteggiamento equilibrato e laico". Prova a difenderlo Andrea Ranieri del PD ma la pezza è peggiore del buco: suvvia, Maiani è su posizioni moderate, ha firmato sì la lettera ma solo per il Rettore, non voleva diventasse pubblica. Insomma, per Ranieri Maiani è colpevole ma di peccato veniale. In generale gli interventi del PD sono tutti improntati a prudenza e cerchiobottismo. Si rendono conto della pretestuosità, della gravità e della pericolosità come precedente, ma preferiscono restare nel mezzo, ribadire la loro condanna dei rei e alla fine far passare uno scandaloso rinvio.
Dopo Ranieri prende la parola Maria Agostina Pellegatta Verde lombarda e finalmente dice una cosa banalmente sensata: "siamo chiamati a giudicare i titoli di Maiani, non le sue opinioni". Basta ciò per fare impazzire di rabbia l'italoforzuto Egidio Sterpa. E' il più noto tra i coinvolti, già ministro in quota PLI durante la prima repubblica, con una condanna in via definitiva per tangenti nel caso Enimont: "abbandono l'aula per protesta contro l'intolleranza". Amen.
Da lì, se mai ve n'era stato, si perde il lume della ragione. Luca Marconi dell'UDC teme addirittura che Maiani non sia in grado di assicurare la libertà d'espressione. Ma è Giuseppe Valditara di AN che passa il segno: Maiani deve chiarire la sua posizione per poter valutare se è compatibile con l'incarico. Che "chiarire la sua posizione" riecheggi l'abiura chiesta a Galileo non può sfiorare Valditara. Parlano vari altri, ma alla fine la decisione è presa, il Senato della Repubblica non ratifica la nomina di Maiani e convoca il Ministro Mussi.
Questo è quanto è successo in Commissione. Luciano Maiani passerà, prima sotto le forche caudine, poi, a meno di incredibili novità, come presidente del CNR. Ma il segnale che viene dato al paese e all'Università è gravissimo: abbiamo i vostri nomi e possiamo danneggiarvi nella vostra carriera come stiamo facendo con il più potente di voi. In questi giorni centinaia di docenti, ricercatori e precari della ricerca, oltre a migliaia di liberi cittadini stanno firmando due appelli, che trovate qui e qui. E' di fatto una lista nera. Come fatto in Senato per Maiani chi dice che non possa essere tirata fuori per un concorso universitario o per un posto pubblico?
PS.: ...ci si passi una chiosa scherzosa a una notizia così grave. Il più diffuso programma di Voip, Skype, lo avevamo già segnalato qui, ha una funzione aggiuntiva che rende cliccabili i numeri di telefono e sostituisce al prefisso internazionale la bandierina del paese. Con un curioso errore: al prefisso +0039-06 invece di sostituire la bandierina italiana sostituisce quella vaticana, anche nello studio del prof. Maiani. Sorge un atroce dubbio, è Skype che non ha avuto notizia della breccia di Porta Pia o siamo noi che non siamo aggiornati sul ritorno del Papa Re?
CAPITOLO 2°
La deputatessa ex velina Gabriella Carlucci invia a Prodi, Mussi ed altri la seguente lettera, che si commenta da sola:
Spett.le : (...proprio così: Spett.le: come fosse uno spedizioniere...)
Presidente Prodi - Ministro Mussi - Sottosegretario Modica
P.C. : Componenti Commissione Cultura Camera dei Deputati - Componenti Commissione
Cultura Senato della Repubblica
Nel proporlo alla Presidenza del CNR Luciano Maiani è stato definito fisico di alto profilo dotato di grandi capacità manageriali. Niente di più falso. Maiani nel 1969 ha avuto la fortuna di lavorare per un semestre ad Harvard con Sheldon Glashow (Premio Nobel per la Fisica nel 1979) con i quale pubblicò l’unico suo lavoro degno di interesse. Lavoro che firmò ma che chiaramente non capì visto che nel 1974 lo rinnegò pubblicando un altro lavoro (nota bene: insieme a Cabibbo, Parisi e Petronzio) dove confusero particelle elementari di proprietà fisiche diverse. (...caspita... chi l'avrebbe immaginato... la Carlucci esperta ANCHE di "particelle elementari"... e noi convinti che fosse esperta solo si "nanoparticelle"...)
Successivamente Glashow addirittura si oppose a che Maiani ottenesse un posto di ruolo al CERN poiché manifestamente non aveva capito una teoria di cui era autore. Cosa, questa, estremamente ridicola.
Tutto questo creò un notevole danno di immagine alla Fisica italiana e alla tanto pubblicizzata scuola romana della Sapienza: i famosi “eredi di Fermi” (...velinette, si aggiorni: di Fermi, ma anche di Amaldi, di Pontecorvo, e di tanti altri. Se me lo chiede, le mando l'elenco...) che ancora non hanno prodotto nulla di scientificamente rilevante ma che sono molto abili nel procurarsi posizioni di potere: Cabibbo è stato Presidente dell’INFN e dell’ENEA, Petronzio è l’attuale Presidente dell’INFN, Parisi ha presieduto il Comitato di Alta Consulenza che ha portato Maiani alla Presidenza del CNR. Maiani è stato Presidente dell’INFN e Direttore del CERN provocando danni devastanti ad entrambe le istituzioni. Particolarmente critica fu la sua gestione del CERN come è dimostrato da numerosi documenti (si veda, per esempio, Nature del 4 ottobre e dell’11 ottobre 2001).
Letizia Moratti, allora Ministro della Ricerca, riuscì a risolvere la crisi e impedì una bruttissima figura all’Italia. (...come??? mettendo un veto? facendo un "proclama bulgaro"?...) Da ricordare che Parisi e Petronzio manifestavano nelle piazze italiane contro la Moratti proprio mentre lei si impegnava a salvare la faccia (e non solo) al loro sodale Maiani. (...che ingrati...)
Tutto questo non potrà essere dimenticato. Sarebbe pertanto utile per il bene di tutti e, soprattutto, del CNR che Maiani facesse un passo indietro.(...qui siamo al "proclama pugliese" della "velinette"...) Invito anche i colleghi della Commissione Cultura del centrosinistra ad informarsi meglio prima di esprimere giudizi non basati sui fatti e chiaramente in malafede. Questo invito è inoltre particolarmente rivolto al Sottosegretario Luciano Modica.
On. Gabriella Carlucci - Roma, 7 febbraio 2008
CAPITOLO 3°
Senonchè accade che la "velinette" sia perseguitata da "sfighite cronica", come l'altra velinette, la ex bella Elisabetta Gardini, quella che frequentava la commissione Borsa, ma è stata beccata dalle iene a non saper balbettare cosa fosse la Consob, sulla quale avrebbe dovuto "eserciate poteri di indirizzo e controllo". Dunque, accade che proprio a Sheldon Glashow, premio Nobel per la Fisica 1979, passi per le mani la demenziale lettera di "velinette", e si prenda la briga di scrivere questa replica:
Al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi (caspita, non lo chiama Spett.le!)

Mi hanno mostrato il contenuto di una lettera calunniosa che le ha scritto la sig.ra Gabriella Carlucci il 7 febbraio 2008. Questa lettera è stata pubblicata sul sito Puglia-live ed è stata largamente diffusa. Nella lettera sostiene, falsamente, che io abbia messo in dubbio la competenza scientifica del prof. Luciano Maiani, recentemente eletto presidente del CNR, e che avessi ostacolato la sua nomina al CERN. Queste calunniose dichiarazioni sono parte di un più grande tentativo di sminuire l’operato scientifico del prof. Maiani. La lettera denigra i suoi risultati scientifici ottenuti negli anni e di molti suoi colleghi, come il prof. Cabibbo, Parisi e Petronzio, sostenendo che questi abbiano causato un serio danno all’immagine della fisica italiana nel mondo. Non è così! I commenti che la signora Carlucci mi riferisce sono assolutamente falsi e maligni. Il prof. Maiani ebbe un ruolo chiave nella nostra collaborazione, anni fa, e questo gli è stato riconosciuto internazionalmente con un’alta onorificenza: il premio Dirac Medal and Sakurai.
Le molte ricerche del prof. Maiani, sono state citate oltre ottomila volte (non includendo le oltre 3600 citazioni riguardanti il nostro lavoro comune). Io non ho mai scritto, suggerito o pensato nulla remotamente dispregiativo a proposito delle competenze di questo stellare scienziato italiano. I temi fondanti della lettera della sign.ra Carlucci, sono falsi, calunniosi e maligni. Io ed i miei colleghi nel mondo abbiamo la più alta considerazione degli studiosi italiani sulle particelle fisiche, delle quali il prof. Cabibbo, Petronzio, Parisi e lo stesso Maiani sono luminari che possono essere considerati come ‘gli eredi di Fermi’.
E questi non possono in alcun modo aver danneggiato l’immagine delle istituzioni scientifiche del Suo Paese, agli occhi di uno studente straniero se c’è qualcosa che può danneggiare l’immagine del Suo Paese sono la volgarità e l’inganno di questi calunniosi tentativi di denigrare uno dei più esimi scienziati della Sua nazione.
Cordialmente

Sheldon L. Glashow - Premio Nobel e membro dell’Accademia dei Lincei
LA LETTERA ORIGINALE DI GLASHOW è su
http://www.rossodisera.info/images/stories/prodi.pdf
CAPITOLO 4°
...a questa ennesima figura di cacca non già dell'Italia di Maiani, ma di quella delle "velinettes" della ex "Casa delle Libertà Vigilate" darò il massimo risalto, e lo stesso invito rivolto ai bloggers che ricevono questo post. Possono pubblicarlo quando e come vogliono, senza chiedermi nessuna autorizzazione. Invito anche i semplici lettori a far circolare queste perle a coloro che sono nella loro rubrica di posta. Un grazie particolare a Pino di altrestorie, al Prof. Carotenuto, a Patrizia T., a "rossodisera", e soprattutto al professor Maiani ed al Professor Glashow.


venerdì 1 febbraio 2008

Il Pacco


Ieri mi citofona, verso sera, un corriere del SDA. Ha un pacco che aspettavo, ma sfortunatamente, mi mancano 7 miserabili euro per pagarlo. Mi affaccio dal balcone e riferisco, il tizio sbuffa e mi ricorda che ho 5 giorni di tempo per andarlo a ritirare, non in posta eh, al magazzino del SDA.

“Dov’è?” chiedo. “A Buccinasco” risponde lui. “Bene, mi lascia un bigliettino nella casella?” Dice di sì e io fiduciosa la mattina dopo esco a cercare il bigliettino, che non c’è. E ora? Che cavolo. Chiamo l’892424. Mi danno l’indirizzo e cercano di farmi parlare con il centralino del SDA. Snervante attesa con musichetta techno, ma niente. La signorina del 892424 prova a collegarmi all’199, numero a pagamento che dovrebbe dare informazioni sullo stato delle spedizioni. Attesa, musichetta, niente di fatto. Saluto la signorina e decido malauguratamente di andare direttamente presso i loro uffici. Giro per mezz’ora buona nel labirinto della zona industriale di Buccinasco prima che un’anima pia mi dia l’informazione giusta. Ecco il cartello, SDA. Mollo la macchina, mi dirigo verso l’ingresso e scarpino fino al loro capannone, in fondo a un immenso cortile pieno di camion, mentre pioviggina acqua di stagno e non ho ovviamente l’ombrello. Arrivo, entro e sono già incazzata nera. Ci sono due tizi che non mi degnano di uno sguardo e non rispondono al mio saluto. Lui, prima di degnarmi di una sola occhiata, preferisce rispondere al telefono che ha appena fatto un mezzo squillo. Lei, girata di schiena, rimane ad armeggiare con la fotocopiatrice, come se nessuno fosse mai entrato e abbia salutato. Aspetto. Odio gli uffici. Odio questa umanità scialba degli uffici, quelli che non gliene frega niente di te, chiunque tu sia, qualunque cosa tu voglia. Perché non si ammazzano a casa loro invece di infestare degli uffici a contatto con il pubblico. Io sto ancora qui a cercare lavoro e queste facce di minchia stanno qui di fronte a me con il loro bel stipendio a grattarsi le terga. Il tizio manda “bacioni” al suo interlocutore e finalmente mi caga. Gli racconto dell’inconveniente della sera prima e del fattorino che non mi ha lasciato nessun biglietto, tanto da costringermi a chiamare l’892424 per sapere dove diavolo era il loro magazzino. Il tizio, serafico: “Mi sembra strano.” Ah, ti sembra strano testa di cazzo? Metti in dubbio quel che ti dico, figlio di puttana? Ribadisco che è andata proprio così e allora ovviamente non sa che dire, dunque interviene la sminchiata alla fotocopiatrice senza nemmeno voltarsi. “Il bigliettino non è dovuto. Lo devono lasciare solo se non trovano nessuno.” Il tizio immediatamente si appiglia a questa immane cazzata, non importa se io insisto nel dire che ho chiesto espressamente al fattorino di lasciarmi un biglietto e lui ha detto di sì, non importa se insinuo che NON POSSO SAPERE DOVE E QUANDO RITIRARE IL MIO PACCO SE IL DECEREBRATO NON MI LASCIA UN BIGLIETTO, niente. Il muro di gomma. In ogni caso, dico che vorrei ritirare il mio pacco, e il tizio se la gode un sacco quando mi comunica che senza il codice non posso farlo. Non avendo il biglietto, non ho nemmeno il codice. Dovrei contattare la ditta che me lo ha spedito e farmi dare il codice. Lui non può per caso controllare se c’è un pacco a mio nome? No, dice reprimendo uno sbadiglio, non può, se avesse potuto mi avrebbe già chiesto il mio nome, come posso essere così stupida da voler trovare una soluzione al mio problema, pensare solo lontanamente che se lui volesse alzare il culo una minima in qualche modo potrebbe aiutarmi? Gli chiedo per favore, ho scarpinato fino a lì per il mio pacco…
“Doveva chiedere al portiere di entrare con la macchina.” Quante cose avrei dovuto sapere! Peccato che loro non rispondano al telefono per darti tutte queste informazioni! Avrei dovuto sapere che il mondo è pieno di stronzi prima di avvicinarmi troppo a due di loro tanto da sentirne il tanfo. Non posso che dire, bene, rispedite pure il pacco al mittente perché qui non ci torno di sicuro e andarmene, senza il mio pacco, di nuovo sotto la pioggia nel loro fetido cortile, scarpinare fino alla mia macchina e maledire tutte le immense facce di cazzo che popolano il mondo.

E tutto questo per un pacco.

C’è una sola speranza che la nostra società non imploda su sé stessa? Alla luce della storia del pacco, la mia risposta è che ormai è troppo tardi, non c’è più niente che si possa fare, se non stare alla larga da tutti questi non-luoghi, da tutte queste non-persone, forse siamo al redde rationem. Quante storie come questa ognuno di noi potrebbe raccontare? Viverle mi uccide. Questo è veleno puro e siamo impotenti mentre ce lo fanno ingoiare con l’imbuto. Io lo sputo qui, per ora.