domenica 15 febbraio 2009

Robert Frank, lo straniero americano




Robert Frank è prima di tutto uno straniero perchè nato in Svizzera e uno svizzero è straniero da qualsiasi parte, figuriamoci in America. Poi, come tutti gli stranieri, viene a guardarti qui dove vivi e quando ti osserva il suo sguardo è disincantato ma non del tutto estraneo, dato che è venuto fin qui.

Si dice che Robert Frank fosse già famoso per i reportage ma che poi decise di darsi all'osservazione della quotidianità e alla foto d'arte, inerpicandosi su una strada impervia che perdona poco, ma che invece gli rese giustizia quasi subito con il successo della mostra “Les Américains” a Parigi. Il suo viaggio on the road, durante il quale ne sviluppò le immagini, non fu certo un on the road qualsiasi ma realmente degno di questo nome, dato che per accompagnatore aveva un tizio di nome Jack Kerouac. Poi è diventato anche regista, ma questa è un'altra storia.

Cosa vede e cosa pensa uno straniero che si fa americano tra gli americani?
“E' il malinteso ad essere importante”, ci avvisa. E forse questa regola vale in tutto il mondo.
Nel 1948 le donne con il trench stanno a fumare nella vetrina di una caffetteria di NY, le strade sono lunghissime e affollate e le pozzanghere riflettono i grattacieli.
I toni del grigio sono morbidi, quasi una onnipresente foschia, mentre i juke box risplendono di luce propria. Nel New Jersey ci sono signori che indossano la tuba e da qualche altra parte, a Detroit, come nel Montana, i popolani si bagnano al fiume oppure pigiano tutta la famiglia in macchine roventi (1956). In America si guida molto, o quando tutto manca si prende il tram e si sa che le facce sui tram sono sempre incredibili.

Robert Frank è riuscito a sorprendere delle immagini che si fanno storia e cronaca e spaccato di società, come quella della bimba che corre nuda trascinando una bandiera americana svolazzante, mentre un ragazzino allibito legge da un giornale che titola MARYLIN DEAD. Come dire che nel suo momento di massimo splendore, più spensierata che mai, l'America muore. Forse anche questa è una regola che vale un po' dappertutto.

Poi ci sono i collage graffiati incisi coperti di scritte e non ce n'è uno che non ti faccia venire il magone. C'è quello per gli amici scomparsi, “so that we remember – a little bit longer” e un altro, diviso in riquadri, ancora più martoriato perchè raffigura i malati e il dolore dell'ospedale di Halifax. C'è tutta un'umanità dolente che non fa altro che ciondolare in giro, alla fin fine, forse proprio questa è l'America per Robert Frank.
La foto più rappresentativa, in questo senso, è quella che ritrae l'alba del giorno successivo al 4 luglio: in un paesaggio spettrale gli ubriachi giacciono sulla spiaggia di Coney Island, presidiata da un'inquietante torre.

Poi arriva la fase concettuale, ma purtroppo per Robert Frank non c'è niente che possa essere significativo quanto l'umanità dolente e ciondolante nei paesaggi grigi a cui ci ha abituato.
Per cui sembrano tirati per i capelli certi giochetti del 1977 come “Parole” che raffigura delle stampe fotografiche stese ad asciugare al sole. O peggio ancora il trittico “La fede e l'amore sono ciechi” (1981), dove una maschera dagli occhi cavi pende da un albero.
Il che può voler dire una cosa sola, ossia che i giorni con Jack Kerouac sono ormai lontani.

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