domenica 26 settembre 2010

Analisi di un mestiere


Le prostitute scatenano reazioni contrastanti, sempre.
I cittadini sbraitano se le vedono passeggiare sui viali di giorno: si preoccupano di cosa possono pensare i bambini. Poi la sera, percorrono quegli stessi viali in macchina. E i bambini, in televisione, vedono cosce e sederi esibiti come se fosse normale.
Ma che cos’è una prostituta? La parola è femminile, senza scampo.
La prostituta è una schiava. La prostituta è la prima donna indipendente della storia. La prostituta è una necessità sociale. La prostituta è una dea della notte. La prostituta è paradigma del patriarcato. L'unica cosa certa è che la prostituzione è stata, per secoli, l'unico mestiere accessibile alle donne, l'unico che consentisse un'entrata economica a una donna sola. E questo la dice lunga, in qualche modo.
Sentiamo ogni giorno notizie di donne costrette a prostituirsi con la forza, minacciate, ricattate. E’ un’ennesima faccia della sopraffazione e della violenza di genere, il racket del sesso, tale e quale a quello delle armi e della droga. Ma i clienti non si pongono il problema della schiavitù che contribuiscono a perpetrare. I clienti sono uomini senza volto. Possono essere tutti, e nessuno. Non ci sono percorsi di recupero, di reinserimento a una sessualità sana previsti per loro, né riprovazione sociale. Loro sono “normali” cittadini. Esiste il fenomeno della prostituzione, ma non della clientela della prostitute. Esiste il fenomeno della violenza sulle donne, ma non della incapacità maschile a liberarsi dalla modalità violenta. Eccetera, eccetera.
Ci sono prostitute che gestiscono da sé la propria attività di intrattenimento sessuale, libere da aguzzini o protettori di sorta. E che vivono il proprio come un normale lavoro, magari migliore di altri in cui si sgobba dalla mattina alla sera per pochi euro. E poi, ci sono donne che si fanno fare regali costosi dal “papi” di turno o che si lasciano ingabbiare in matrimoni convenienti. Ora ci vogliono far credere che questo sia il modello femminile vincente, rivendicato in televisione e sui giornali.
Ma la prostituta è più onesta. Lei ha a che fare con la parte oscura dei rapporti umani e della società.
Gli uomini che pagano per il sesso esercitano un potere, il potere d'acquisto, che spesso è anche l'unico potere loro rimasto. Rinunciano ben volentieri a ogni responsabilità rispetto al benessere e al piacere della partner, che diventa una sottoposta. Una prestatrice d’opera. La femminilità viene così circoscritta a livello di sfogo di una pulsione. Ma è innegabile che la prostituta abbia anche ispirato poesie, canzoni, teneri ricordi di gioventù. Ci deve essere qualcosa di rilassante in una professionista del piacere, qualcosa di archetipico che riguarda la coscienza collettiva: un dolce approdo di femminilità per chi ne è privo, una donna che non giudica, a differenza della Madre, e che accoglie con bonarietà il lato perverso che l'uomo si sente obbligato a nascondere agli occhi della Moglie e della società intera. Certo lui non viene pagato per fingere, mentre una prostituta sì.

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