mercoledì 3 marzo 2010

Il Social Network ci sopravvivrà


Facebook a una prima analisi può essere considerato poco più che un che un gioco di ruolo collettivo per adulti, con regole tutto sommato semplici e che, come spesso succede, viene demonizzato e caricato di aspettative agli esordi, per essere infine accettato e perdere gran parte del suo fascino in seguito.
Ma Facebook non si analizza, si vive.

Si entra dentro Facebook fondamentalmente perché gli altri ti trascinano.
Alla centesima volta in cui ti viene chiesto se sei su Facebook e ti accorgi che nessuno si scambia più i numeri di telefono, ad esempio. Ma poi, perché dovrebbero? E' molto più facile e indolore cancellare dal pc un contatto che diventa sgradito, piuttosto che infilarsi nella trafila per cambiare numero di cellulare. Nel frattempo, ti sei già accorto da un pezzo che gli amici si passano informazioni di cui sei costantemente all'oscuro e che vengono organizzate serate in tempi record senza che tu ne sappia nulla, se non all'ultimo minuto e solo perché qualche anima pia si ricorda di te, povero non-connesso. E anche tu ti convinci che in fondo, visto che si può evitarlo, non c'è motivo di arricchire le compagnie telefoniche continuando a scambiarsi gli sms più cari d'Europa.

Gli stessi amici continuano a infierire, raccontando cosa si sono detti in chat con il vostro comune ex compagno di classe che si è trasferito a Londra, e ti accorgi che anche a te farebbe piacere risentirlo. Anche se non lo pensavi da anni.
Tutti poi hanno visto le fotografie della serata che avete trascorso insieme, o il figlio appena nato dell'amica che sta a Roma. Tutti commentano ciò che ha scritto qualcun altro nel suo status o il video che hanno condiviso. Tranne te.

E alla fine ti iscrivi. Sì, poi sei costretto a ridere a denti stretti quando i comici in tv dicono cose divertentissime tipo: “Ma se non ci sentiamo da 20 anni ci sarà una ragione, perché ti devo volere come amico su Facebook???” Risate del pubblico. Tutti privi di account Facebook? Ma niente affatto. Si ride di sé stessi, ma tutti quelli fra il pubblico che hanno il loro account avrebbero voglia di dire all’ennesimo comico dell’ennesimo programma cabarettistico clone di tutti i precedenti, almeno un paio di cose. Intanto, che possono essere davvero molti i motivi per cui ci si perde di vista e se c’è il modo di poter riallacciare non è raro avere belle sorprese.
E poi, per favore, basta con questa “satira” indolore e ripetitiva, con l’eterna messa in scena dell'italiota 'gnurante ma di buon senso, che al posto di rivelare banalizza.

La forza di Facebook è in questa sua propagazione inarrestabile. Forse è l'idea del profilo ad essere accattivante, la possibilità di creare una propria pagina dove condividere i propri gusti, le passioni, gli album fotografici. Una sorta di blog, ma con meno pretese e disponibile a tutti. Chiunque infatti può essere trovato o chiedere l'amicizia a un altro, non c’è bisogno di conoscere un link specifico, ma solo sapere un nome e un cognome. C’è una sorta di fascinazione, nel cercare e nell’essere cercati, nell’ignorare o approvare un’amicizia.

Facebook è anche un mezzo per incontrarsi, per passare dal virtuale al reale. Gli “amici”, ossia i contatti di chi ha creato un proprio account, possono essere centinaia, ma poi la cernita è inevitabile, come nella vita reale. Alla fine ci si scambia messaggi e si organizzano eventuali incontri solo con pochi, i più affini, mentre tutti gli altri saranno semplici spettatori di ciò che scorre nella nostra vita, anzi, di ciò che decidiamo di caricare on line, della nostra vita. Una sorta di taglia e cuci creativo, una vetrina emozionale. Con la consapevolezza che molti ben presto si stuferanno talmente tanto che sceglieranno l'opzione “Nascondi” per non visualizzare più le nostre news sulla loro homepage. Sempre che non lo abbiamo fatto prima noi.

E' un gioco per adulti, dicevamo, che ha una sua utilità e anche una sua futilità intrinseca. Rappresenta molto e molto poco allo stesso tempo. Se partiamo dal molto, può aiutarci a focalizzare alcuni aspetti che caratterizzano la società contemporanea: ad esempio, che i giovani adulti 30-40enni (ossia la gran parte degli utenti di Facebook) hanno tutta l'intenzione di continuare a giocare ad libitum e non riescono a trovare nessun motivo per pensare che è ora di smettere. Un pessimista estremo direbbe che lo stesso avveniva sul Titanic, con l'orchestra che continuò a suonare fino al naufragio, dopo aver incocciato l'iceberg.
Se partiamo dal molto poco, ci basta la sua definizione standard, che è quella di “Social Network”: semplicemente un modo per mantenere e/o ampliare i propri contatti sociali.

Ma è chiaro che Facebook rappresenta ai suoi massimi livelli anche l'attuale ossessione per la comunicazione di sé stessi. Questo desiderio di mostrare i propri viaggi, le proprie foto, i propri pensieri, e di annettere un gran numero di “amici” con cui condividere il tutto, parte dall'ansia dell'individuo atomizzato, sperduto nella società, orfano di spazi di aggregazione e identità collettive, ideologiche e non, che sente di esistere davvero solo tramite la propria immagine inviata nell'etere e i contatti che acquista on line.
Sono connesso, quindi esisto. Posso lanciare il mio sasso nello stagno, la mia bottiglia col messaggio nel mare di Internet, che non butta via niente. Un giorno qualcuno, con una banale chiave di ricerca, vedrà una mia foto, un mio scritto. Si tratta di lasciare una traccia, mica robetta.
Internet ci sopravvivrà.

La privacy è a rischio, certo. C’è chi parla di schedatura volontaria di massa. Molti utenti non conoscono le precauzioni basilari per condividere le informazioni proteggendo la privacy, evitando di dare in pasto tutti i propri dati a chiunque si affacci online. Eppure, l'ansia di partecipare, di esserci, fa correre il rischio. Un rischio virtuale, ma fra virtuale e reale il confine non è mai stato così labile. All’altro estremo, ci sono i dietrologi, convinti che la Cia o chi per lei rastrelli ogni dato per tenerci d’occhio tutti quanti, ergo non si iscriverebbero mai.

Una delle caratteristiche di Facebook più analizzate dai media riguarda i gruppi che si creano su tematiche socio-politiche e le polemiche che molti di questi si portano dietro trascinano con sé.
Non è raro che titoli di giornale e analisi sociologiche, per riempire i vuoti, prendano a campione questi gruppi con lo scopo di mostrare le tendenze della popolazione “connessa”, identificata un po’ arbitrariamente con i “giovani”. Così Ed ecco che ai giovani, con poco sforzo, pare di esercitare una sorta di influenza sulla società. Ma anche questa, alla fin fine, è virtuale, eppure concreta allo stesso tempo, tanto quanto lo possono essere i titoli di giornale e coloro che li leggono.

Facebook riesce anche a creare veri e propri eventi, che spaziano dalla tanto bistrattata cena di ex compagni di classe a iniziative culturali, commerciali e agitazioni di protesta basate sul tam tam della rete. Ecco così scomparire il classico volantinaggio dei gruppi politicizzati dagli anni '60 in poi, sostituito dal “flyer” digitale, a costo zero, che mantiene il suo scopo originale in alcuni casi, ma più spesso si è venduto per scopi commerciali e promozionali.

E’ certo abbastanza ingenua la definizione di “realtà” virtuale, che alienerebbe le persone disincentivando il contatto umano. Da questo punto di vista, si potrebbe obiettare che la televisione, che offre spettacoli di cui lo spettatore fruisce passivamente, in completa solitudine perlopiù e senza possibilità di interagire, possa essere considerata altrettanto colpevole, se non di più.
La stessa gente che si abbruttisce davanti al piccolo schermo spesso demonizza Internet, che rovinerebbe i giovani.
Ma perlomeno, se anche questi ultimi passano le ore al computer, sono obbligati a mettere in moto qualche neurone per poter digitare pensieri sulla tastiera e interagire con persone lontane, conosciute oppure no. Facebook non è una realtà, ma una piattaforma per condividere contenuti: e se vuoi partecipare, i contenuti da qualche parte te li devi andare a cercare o partorirli ex novo.

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